La storia del cane

l’apprendimento avviene quando si modifica un comportamento a parità di condizione iniziale (sempre se non sbaglio, dovrei controllare sul libro)

 

La storia che vado a raccontare è tutta vera tranne per il fatto che le parole tolgono sempre un po’ di verità ai fatti. Ci sono degli studi che lo dimostrano: a certa gente hanno mostrato il filmato di un crash test di una macchina e gli veniva chiesto di indicare, più o meno, a quanto andava l’auto in questione prima di sfracassarsi contro il muro. Fu provato che le persone variavano la percezione della velocità del mezzo in base al modo in cui veniva loro presentata la situazione: la gente reagiva in un modo all’auto che urta il muro, in un altro all’auto che si sfracella contro il muro, in un altro ancora all’auto che si butta contro il muro. L’auto, per la verità, finiva sempre male, sia chiaro, ma le parole lasciavano pensare che ci fosse un’informazione preziosa segreta nascosta ad arricchire  un fatto di per sè semplicissimo: un mezzo su quattro ruote contro un pezzo di cemento. A finale, l’auto si piegava nel muso e nei fianchi; vista al rallenti pareva un fiore rosso appena nato, il muro contro cui impattava restava scheggiato in più punti, che rilucevano di vernice. La situazione, nel complesso, pareva migliorata e più giusta rispetto l’iniziale condizione di stasi; l’esperimento stesso si poteva dire realizzato e provato solo quando il cemento bianco cominciava a gocciare sangue chimico. Ma non divaghiamo.

 

La storia del cane è questa: era estate e andai alla posta con il mio fidanzato di allora che era un tipo molto incazzoso che entrò nell’ufficio ciabattando con la solita grazia (sono sicura che non me ne vorrà, anzi converrà con me). Litigavamo, se non ricordo male. Sono un essere umano a cui piace litigare, dico le cose appositamente per fare incazzare la gente, poi se la gente si sta allora siamo amici per sempre come Jim e Huckelberry Finn. Il fidanzato di allora non si rese conto che proprio davanti alla porta stava un cane, color pavimento della posta centrale, e lo capesò,  con tutto il suo 43 di piede calzato sandalo. Il cane reagì male, lo morse sulla caviglia e dovemmo scappare all’ospedale. Al nosocomio ci chiesero che era successo e poi ci cazziarono: il cane dov’era, perchè non l’avevamo portato con noi? Noi ridevamo, risposi che il cane ci stava tenendo il posto nella fila per pagare le bollette, ma quelli veramente volevano il cane perchè andava tenuto in quarantena per vedere se era malato, anzi, no, andava sparato.

Io davo la colpa al mio fidanzato che era entrato con la solita leggiadria, loro a quella povera bestia, il mio fidanzato alla umana stirpe.

Visto che non avevamo il cane, ci mandarono sbattendo a destra e a manca in una fiat uno verde militare che era la macchina perfetta, l’unica macchina che ho mai saputo portare nella vita mia. Quando arrivammo a destinazione ci accolse un dottorino preoccupatissimo: gli animali trasmettono tante malattie, bisognava darsi da fare subito. Disinfettò e medicò con cura, poi sedette alla scrivania:

“Lei si chiama?”
“Io sono Tizio e Caio”
“Bene – annotò su un foglio con zelo – e dove è avvenuta l’aggressione?”
“Nell’ufficio postale”
“Bene”

Ci allungò una carta scritta con ordine. Dovevamo portarla in ospedale cosicchè potessero prendere provvedimenti. La carta diceva:
“Il Sig. Tizio e Caio denuncia l’aggressione del Sig. Cane Morsicatore, avvenuta nell’ufficio postale il giorno X”.

Ce l’ho ancora conservata quella carta. Oggi il sig. Cane Morsicatore è ancora vivo, è stato riabilitato, è stato eletto cane di quartiere se non mi sbaglio,  ha un collare rosso e una piastrina, partecipa a tutte le processioni.