Gli uomini guardano i Mondiali come le donne guardano alla loro relazione

Una volta, a margine di una conversazione su quanto gli stavo simpatica – tantissimo, visto come andarono poi le cose -, un uomo mi chiese se mi piacesse il calcio o meno. Anzi, non me lo chiese: lui dava per assunto che la risposta fosse no e che potesse passare a spiegarmi e farmi scoprire lui per primo cose meravigliose come il fuorigioco.

Il discorso suonava più o meno così:

“Sei simpatica”
“Grazie”
“Scommetto che non ti piace il calcio”
“Seguivo le partite dell’Ebolitana nel passaggio da Eccellenza a serie D, piacere”

Fate voi il resto.

La verità è che ho dei ricordi piuttosto limpidi di partite, partitoni e campionati nazionali, ma di quelle celebrazioni calcistiche che sono i Mondiali o gli Europei non mi ricordo mai le singole giocate – sono troppe – ma le giocate mischiate alle cose che facevo nel mentre.

Per cui, nell’ordine, ricordo:

a) Me che mi innamoro di Gianfranco Zola. Era il 5 luglio 1994, avevo 11 anni, e Gianfri (eravamo in confidenza) coronava il suo sogno: esordio ai Mondiali di Calcio nel giorno del suo ventottesimo compleanno. Un arbitro, tale Brizio, nazionalità messicana, lo espelle per motivi ancora non comprensibili all’uomo e su cui esistono ancora serissimi dibattiti (sta prima il Terzo Segreto di Fatima, poi l’Allunaggio, e infine l’espulsione di Zola). Gianfranco, comunque, fa una cosa che lo rende il mio amore perduto di sempre: Gianfranco molla tutto e piange e si sbatte per terra e se la prende con oggetti inanimati e cerca di parlare a chiunque finche non vanno a riprenderselo dalla panchina. Qui nozioni aggiuntive sul come si piange e ci si sbatte e via dicendo, qui il video:

b) Mio padre che non so quale fissazione prende ma comincia a registrare tutte le partite degli Europei 1996. Fu capace di produrre una marea di vhs su cui poi, per anni, abbiamo registrato tutt’altro, per cui, a casa mia, se volevi vedere “Misery non deve morire” dovevi scegliere Spagna-Bulgaria, “Codice d’onore”,  Germania-Rep.Ceca, e così via;

c) Me che preparo una grossa caraffa di Karkadé freddo in un appartamento del Rione Alto nel giorno di Italia-Corea. Era l’anno del signore 2002 e ogni tanto alzavo gli occhi da un testo di Pedagogia dell’arte e percorrevo un corridoio lunghissimo a piedi scalzi, per sbirciare la partita in un salotto dove stavano bellamente stipati, un pianoforte, svariate stautette dei pastori del ‘700, due poltrone e un divano verde acido dalla stoffa molto pungente, un tavolo lunghissimo, il mio ragazzo dell’epoca, la sorella del mio ragazzo dell’epoca, le amiche del mio ragazzo dell’epoca, gli amici del mio ragazzo dell’epoca, l’altra coinquilina, la mamma dell’altra coinquilina, il mio padrone di casa, le figlie del mio padrone di casa, le amiche delle figlie del mio padrone di casa. Lowenfeld spiegava, essenzialmente, se era il caso di preoccuparsi quando un bambino, nel ritrarvi, vi disegna sei dita per mano e la capa di bomba; l’arbitro Moreno ci eliminava dalla competizione vedendo cose che non esistevano ben prima di essere arrestato per traffico di stupefacenti. Io confermavo la mia fama di asociale che che ci tiene a prendere almeno 28 in Pedagogia dell’arte, però prepara bevande e chiede a tutti se ne vogliono un po’, perché è una persona gentile;

d) Me che reincontro il mio ex ragazzo dell’epoca (sì, è lo stesso di cui sopra) il giorno della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006. Quel giorno ho imparato che vedere uno che vi ha spezzato il cuore mentre esulta a tempo di po-po-po-po-po-pò su un auto che percorre il viale centrale della città può farvi venire voglia di cambiare non solo nazionalità e squadra ma anche indole, solo per avere una scusa buona per sfracassargli il setto nasale* a colpi di bottiglie di birra Peroni (questo in conformità con l’orgoglio nazionale)

(*mi sentivo molto Morrissey quando canta “And the pain was enough to make a shy, bald, buddhist reflect and plan a mass murder“, sì);

Conclusioni a margine ricavate da anni di esercizio di osservazione sul campo

1) Diffidate dell’uomo cui non piace il calcio o meglio, è molto più semplice se a lui piace il calcio, ma va bene anche un altro sport tipo il tennis, di seguito il perché;

2)Anche l’uomo più pacato e/o timido si produrrà in una serie di osservazioni decise e tecniche durante la competizione. In molti casi, la cosa è assai divertente. A fini conoscitivi, però, può anche dirvi come si relaziona con le critiche, le avversità e anche quanto e se pensa di essere gesucristo sceso in terra che, se ci fosse in campo lui, oh: saprebbe benissimo cosa fare! (il punto è che in campo lui non c’è);

3) Il tono è molto indicativo. Per esempio: ho sentito bestemmiare San Gaetano e il 7 di agosto da una persona la cui capacità di imprimere volontà su qualsiasi affermazione era pressocché nulla. Ciò ha migliorato di molto la considerazione che avevo di lui: di base, mi sono voltata e gli ho detto: “Allora sei umano!”;

4) Durante la finale Francia-Italia, Europei del 2000, accadde qualcosa, non ricordo cosa di preciso ma probabilmente il fatto che perdemmo 2 a 1, che mi lasciò intendere che molti uomini tengono al calcio come le donne tengono alla loro relazione, da cui:

5) Gli uomini che guardano le partite di calcio sono donne che guardano alla loro relazione.

Esempi pratici

Provate voi a dire ad un uomo che la sua squadra del cuore si è venduta il migliore attaccante, su, ve la faccio facile, provate a dire Pocho o Cavani a un tifoso del Napoli. Equivale, ancora oggi, a fare il nome di un ex grande amore. C’è chi la prende con filosofia, chi parte con una pippa sull’ineluttabile capitalismo del mondo calcistico, chi se la cava con una bestemmia. Ma lo sapete: ad avere Pocho o Cavani davanti, esploderebbero in lacrime sommesse tali da meritarsi il premio “Faccia che ricorda il crollo di una diga” di DeGregoriana memoria.

Provate voi a dire ad un uomo che la sua squadra del cuore si vende o si compra le partite. Su, ve la faccio facile, pensate a un tifoso della Juventus. È come dire a una donna felicemente accasata delle ripetutissime corna del marito (di cui probabilmente aveva già sentito parlare, ma fintanto che torna a casa, come dire).

In ogni caso, uomini e donne, conservano una parte pura di sé stessi che si esplicita in maniere differenti, ma ha la stessa radice: una fiducia quasi bambina nel come potrebbero andare le cose. Solo che gli uomini, per comodità, devono aver preferito relegarla nei 90minuti di competizione calcistica (che è più o meno il tempo giusto che dovrebbe durare un appuntamento).  Rompere questo incanto significa spezzargli il cuore (il cuore si spezza sempre, magari una volta ne viene meno un pezzo più grosso, un’altra più piccolo, ma la frantumazione è una costante). Per avere un’idea degli effetti di questo inconveniente, vi lascio questo video esplicativo: lo so, è Shakira che canta il Waka-waka. Ma provate ad immaginare cosa potrebbe succedere a dirle che Piqué le preferisce Bar Rafaeli o che c’è una foto piuttosto dibattuta con Ibrahimovic. Roba che sarebbe ben capace di rivoltarvi contro l’intero corpo di ballo a suon di Django eh eh, Django eh eh.


 

Commenti

  1. Sto pensando che la radice di tutti i miei problemi può essere nel fatto che (a parte uno) non ho mai avuto un fidanzato tifoso. E manco il Ragazzo Nuovo è tifoso. Però poi penso che con l’unico a cui piaceva il calcio è stato tutto molto più complicato.

  2. @camilla: di solito gli uomini cui piace il calcio quando si comportano a peste gli puoi fare i paragoni calcistici, e la cosa regge, del tipo: se vedi un’altra mentre stai con me e ti incazzi se te lo faccio notare sei peggio dell’arbitro moreno.

    @lina: piacere ;)