Meseaprile 2016

Tutti i poeti schifano Aprile. E hanno ragione.

Ho sentito l’odore del mare anche a Poggioreale o a Ponticelli, ed era identico a quello dell’estate, e no, non mi ero fumata niente. Questo è il post necessario se lo avete sentito anche voi (il mare, intendo, non il fumo). Perché abbiamo abbastanza poeti a supporto per sapere che del mese di aprile è meglio non fidarsi.

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Volevo scrivere questo post da tipo due settimane, ma sono state settimane pesanti in cui la primavera sembrava una specie di clausola.  Quando anche il tempo è peggiorato, però, mi sono accorta che c’aveva ragione Sylvia Plath. 

E anche T.S. Eliot. E pure Sandro Penna. Andrea Zanzotto. Pure Rodari, uno che notoriamente aveva fiducia negli errori. E anche Evgenji Rejn che va bene, non sapete chi è, ma a lui si devono versi importantissimi che se uno se li tiene tipo post-it male non fa. Insomma, marzo almeno è universalmente riconosciuto come pazzo. Aprile è incerto. Dio. 

Ma vediamo insieme il perché.

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Il giorno in cui il Panico compì trent’anni

C’è una storia che non so quanto sia vera, la storia per cui “Panic” degli Smiths è stata scritta oggi, trent’anni fa. E ce n’è un’altra, verissima, per cui il mio primo bacio dovrebbe avere più o meno la stessa origine. In entrambi i casi si tratta del disastro di Černobyl’

In questo universo parallelo Johnny MarrSteven Patrick Morrissey fanno appena cinquant’anni in due e non 110, portano giacchette sciancrate e camicie a quadri risultando alla moda – una moda di cui ci saremmo accorti solo dopo – e non hanno mai litigato. Di base, oggi, trent’anni fa, stanno ascoltando la radio, precisamente la trasmissione radiofonica Newsbeat condotta dal dj Steve Wright.

Me li immagino con la faccia china sugli altoparlanti, magari stanno parlottandoci sopra, magari non la sentono neppure almeno fino a quando la musica si interrompe: il conduttore ha una notizia da passare velocemente e la notizia è l’incidente alla centrale nucleare di Černobyl’.

Nemmeno il tempo di capirci qualcosa che il dj ritorna in sé. E tornare in sé significa passare, come da scaletta, I’m Your Man dei Wham!, una canzuncella che in pratica dice “sono il tuo uomo piccola, se devi farlo, fallo bene, va bene?” Sarebbero nati così, dunque, i versi topici che ho cantato centoventimila volte, quel “Burn down the disco, hang the blessed d.j. because the music that they constantly play it says nothing to me about my life” 


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Il 25 Aprile spiegato ai piccoli. Anche se abbiamo trent’anni, sì.

Tonio era un bambino biondo e con i ricci. Io ero una bambina bionda con i ricci. Frequentavamo la stessa classe delle scuole elementari Molinello e avevamo entrambi una difficoltà di pronunzia della lettera s. A parte questo ci eravamo completamente indifferenti.

Ma sapete come sono gli adulti: pensano che i bambini siano scemi abbastanza da potergli imporre la volontà di un altro, fatto comprovato con l’iscrizione alla scuole dell’obbligo il cui scopo è più o meno farti capire sin da piccolo che non puoi scegliere in autonomia le persone da incontrare tutti i giorni.

Quindi, per scelta di altri, io incontravo Tonio, che aveva gli zigomi rossi, il pane e frittata nello zaino e suonava la fisarmonica e Tonio, senza aver potuto scegliere, incontrava me, che ero una bambina molto silenziosa, senza merendina e senza alcuno strumento da suonare. 

Il fatto fu questo: per celebrare degnamente la Liberazione, la maestra Gianna decise che ognuno dei piccoli delle elementari avrebbe manifestato liberamente e dinanzi ad un nutrito pubblico di parenti, il suo essere sciolto e svincolato dalla partecipazione obbligatoria ad attività ludiche et educative del tipo Balilla etc.

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