AutoreRaffaella R. Ferrè

Raffaella R. Ferrè, giornalista e scrittrice, è nata ad Eboli nel 1983.

Scrutando il futuro

I grandi portoni erano chiusi quando sono arrivata davanti alla scuola e sulla superficie liscia, verniciata d’amaranto, si riflettevano piccoli spicchi di luce. Poi l’orologio della torretta ha suonato le tre e mezza di pomeriggio e nella piazza vuota e ombreggiata appena da poche foglie verdi, sono arrivati i messi comunali con i pacchi e le schede per il voto e i registri, gli impiegati comunali per la raccolta dati, il presidente di seggio e gli altri scrutatori, con una faccia spaurita più o meno come me.

Fare la scrutatrice non mi entusiasmava, ho raggiunto la mia sezione ciabattando per l’edificio vuoto di voci e bambini. Ai muri della struttura, costruita con poca fantasia ai tempi del fascismo, sopravvissuta a guerre mondiali e terremoti, c’erano i cartelloni sull’emergenza rifiuti: anche a questa catastrofe le aule hanno opposto resistenza, ma questa volta nei segni che mostravano non c’era orgoglio: così, prima di affiggere avvisi e divieti, liste per la camera e per il senato, spostare sedie e cattedre fino a formare un rettangolo ordinato, sederci e firmare e bollare schede, dividerle in pacchi da 50, ci siamo occupati di svuotare i cestini della carta pieni di monnezza, togliere la polvere sui banchetti, uccidere con rapidi applausi le varie, affamate zanzare e sistemare le finestre rotte alla meglio. Alle 9 passate sono arrivati i carabinieri ad avvertirci che noi eravamo gli ultimi: ovviamente ci hanno fatto i cuppitielli areto per tutto il tempo che ci è voluto a sigillare finestre e porte e apporvi le firme e i timbri.

I giorni dopo siamo arrivati che le campane della chiesa non avevano ancora iniziato a suonare la prima messa della giornata e davanti a noi, sin dalla prima mattina, hanno sfilato i più vari tipi umani. Guardando le facce, la vicinanza dei miei colleghi, cercando una corrispondenza nei registri, annotando uno dopo l’altro i nomi, le cifre e i numeri dei documenti di riconoscimento e l’entrata d’iscrizione nelle liste elettorali e la matrice della tessera, mettendo la mia firma a testimonianza di un’identità riconosciuta, io, che non volevo votare, ho iniziato a sentire in testa Fossati e il famoso giorno in cui tutta la gente si tende la mano. Al mio banchetto di polvere sono arrivati vecchietti arzilli o azzoppati, donne con i capelli bianchi e la treccia arrotolata a crocchia, e signore con i bambini gocciolanti del primo gelato di stagione e ragazzi che pensavano di dover votare lì, davanti a me, senza neppure entrare in cabina. E così, prima di chiudere il seggio mi sono fatta coraggio e ho chiesto a Fernando, il presidente di seggio, di timbrare la mia tessera elettorale. Ho preso le due schede e in religioso silenzio sono entrata in cabina, dove prima di apporre la mia X sul simbolo giusto, mi sono fatta pure il segno di croce (e più che fede è stata scaramanzia).

Poi ha vinto Berlusconi.

Mentre procedevamo allo spoglio, chiamando a voce alta la lista numero tot il rappresentante di seggio della Sinistra Arcobaleno ha risposto alla conta dei voti con un sonoro Ameeen. Siamo scoppiati a ridere tutti e sette, seduti sulle sedioline coi ginocchi a tozzare sotto il banco, e non era una risata amara, anzi. Sapeva di buono e genuino, il medesimo istante per tutti, prima di ritornare in una prospettiva di gnomi.

PS: ma voi avete presenti quelle maledettissime matite per il voto? Quelle matite grigine schifose che se per caso dimenticate in cabina o non riconsegnate insieme alle schede vi fanno una cazziata interminabile? Ecco, sì, quelle lì. Bene, sappiate che l’eventuale perdita di una di queste sfaccimme comporta una multa che può arrivare ai 300 euro. Ah, a proposito di multa: alla faccia degli sconti delle ferrovie per chi torna a casa per il voto, io non solo ho pagato cifra piena per un viaggio interminabile su un autobus sporco e zozzoso, ma visto che l’obliteratrice nella mia città è inesistente, dopo aver convalidato a mano come indicato sul retro del biglietto, mi sono presa anche un verbale da un controllore.

Figure Mitologiche 3, la Precaria

Premessa: Pierre Sorlin è tra i primi ad aver utilizzato i film come fonte storica.

Sto vedendo un film e sono sconvolta. Il film si chiama “Derailed”. Niente da dire. No, non vi svelerò la trama. Fittatevi il dividi. Volevo solo informarvi che in questo caso le precarie ci fanno la figura delle puttane rubasoldi che cito: “arrivano in ufficio in ritardo e qualche volta rispondono a telefono”. Andiamo bene, andiamo.

Alla ricerca del codice Iban

E così dopo 15 mesi di attesa e milleuno tentativi, quest’oggi ho saputo quando sarò pagata per il mio lavoro. La risposta è: mai. Avevo questa voce stridula dall’altro capo del telefono, tipo canarino Titti scortese ma con un accetto appena appena insulare. La voce mi diceva: lei non ha ricevuto alcun pagamento perchè siamo sprovvisti del suo codice Iban. La frase era ripetuta di continuo, in una sorta di cantilena, ma senza espressione:

Siamo sprovvisti del suo codice Iban. Iban. Iban.

Non riuscivo a reagire. Il suono melodico mi aveva ipnotizzato. Nella mia testa una sola, unica domanda: che sfaccimma è ‘sto codice Iban? Una volta risolto l’arcano, da brava comunicatrice ho cercato di entrare in contatto con Titti.

Raffa: “Mi ascolti, io non ho un codice Iban perchè non ho un conto corrente”.
Titti (leggermente perplessa e infastidita): “Deve aprire un conto corrente presso uno sportello bancario e comunicarmi il suo codice Iban”.
R: “Senta mi spiego meglio. Io non ho un conto corrente perchè non ho nulla da metterci. Sono 15 mesi che non mi pagate.
T (palesemente sconvolta): lei non ha ricevuto alcun pagamento perchè siamo sprovvisti del suo codice Iban.
R: Senta, ma non potreste farmi un assegno?
T (con la voce di Marnie durante la regressione infantile): L’assegno è una forma di pagamento che non usiamo. Un mese fa un nostro incaricato alla consegna degli assegni è stato derubato a Napoli (voce rotta dal pianto). Da due settimane l’unica forma di pagamento è un versamento sul conto cottente.
R: Allora avreste dovuto pagarmi due settimane fa.
T: Due settimane fa un nostro incaricato alla consegna degli assegni è stato derubato a Napoli.

Mi pareva di avere a che fare con quei programmi che simulano il linguaggio umano. Oppure ero a telefono con Anna, l’assistente elettronica dell’Ikea.