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Aidonuannaueì

Voglio vendicare una generazione intera dicendo che il problema nostro è avere visto Dawson’s Creek nel momento in cui si formano le coscienze. Civili siamo diventati, biondi, castano schiarito dal sole, e sinceri, pure troppo, incapaci di mantenere un cecio in bocca, ogni segreto è una rivelazione da fare nel momento meno indicato, postumo, e nel migliore dei casi siamo oggi dei logorroici convinti.

(Tutti i nostri sogni si realizzeranno presto o tardi, se ciò non accadrà non faremo in tempo ad accorgercene mica. Moriremo, esattamente come la compianta Jen Lindley che è il più completo personaggio della storia delle serie tv, e comunque che cosa ci fa alla reunion? Tornerà in spirito, come la nostra adolescenza? Argh).

 Turutururu, turutururu

Non (voglio) essere cattiva

Non per puntualizzare, ma avevate detto che il 2016 era un anno nuovo, diverso, la svolta, il meglio deve ancora venire, invece è lunedì come al solito. E piove. 

Ciao amici. Dopo lo spumante, il meno tre due uno, mi sono immersa in uno spazio che ha corretto i miei sentimenti e sono ora nel tempo futuro a cui non ho diritto, con tre arance per il pranzo e la sciarpona fatta da mia nonna. Bene. Da questo abisso siderale da cui non uscirò manco pagata, un posto che conosciamo io e Judith Shalansky –  la tizia dell’Atlante tascabile delle isole remote  –   ho un paio di cose da dirvi, pigliatela bene.

La prima cosa è che ho appena visto i giornali con gli speciali su Pino Daniele “requie’ e ppace all’anima soja” e mi fanno tutti pensare che la morte ha davvero un ruolo sociale in questa città, insomma sulo si si muort’ la tua impresa diventa imperitura e la dobbiamo sancire tutti, se vivi e campi e fai delle scelte (musicali, geografiche, politiche etc) sei una specie di figlio degenere. Comunque, il verbo emancipato post mortem non sarebbe male se non vivessimo in un posto dove ti propongono di buttare il sangue più o meno metaforicamente più o meno tutti i giorni e che, per scrivere certe cose, Pino Daniele deve averci fatto i conti ai tempi suoi ma anche in seguito con una serie di schifezze non da poco. Ma niente, è muort’ e da personaggio a cui possiamo togliere le battute, da comparsa senza soggetto da interpretare, diventa protagonista assoluto di cui ci suchiamo anche i fuori onda alla telecamera in cui ci manda gentilmente affanculo. 

La seconda è che la dovete piantare voi e Checco Zalone e Quo vado?

quo-vado

Ve lo dico nel senso buono. E ve lo dice anche Marx che nell’introduzione della Critica della filosofia del diritto di Hegel, roba che sicuramente avete letto, e precisamente quando scriveva «l’ultima fase di una figura storica universale è la sua commedia» (e più del “posto fisso” a fare da emblema degli ultimi anni in Italia non so cosa possa esserci). In ogni caso, se avete bisogno di riferimenti alti a giustificare una qualche milionata di italiani (me compresa anche se il film ancora non l’ho visto che devo trovarmi una sala in cui non si pigliano a mazzate) non fate i reazionari come me e puntate tutto su zio Umberto Eco quando nel 1977, in un volumetto diffuso in famiglia dal nome “Apocalittici e Integrati” parlava della capacità di un prodotto di consumo, che «ci diverte non rivelandoci qualcosa di nuovo, ma ribadendoci quello che sapevamo già, che attendevamo ansiosamente di sentir ripetere e che solo ci diverte». Fate presto che se vi finiscono le citazioni alte dovete cercarvi la Sociologia del Cinema di Pierre Sorlin (ah, io quell’uomo l’ho amato sul serio) ma è roba del 1979, non so eh. 

Però, però, premesso che parlate con una che si è vista anche “Natale col boss”, sì, quello in cui sta Peppino di Capri (ragazzi, avevo bisogno di farmi un po’ di risate senza implicazioni, tipo quando fai sesso con una che domattina non devi rivedere insomma, roba facile), io mi schifo e anche molto, moltissimo, tantissimo, che non ve lo so dire, quando “Non essere cattivo” di Claudio Caligari Caligari, uno che pur essendo bravissimo ha fatto 3 film e sono uno meglio dell’altro e non so se è stato per mancanza di possibilità, di sostegno, perché si rompeva il cazzo, perché ci teneva a non inondarci di stronzate, davvero non lo so – , viene escluso dagli Oscar per il miglior film straniero, la pellicola al cinema ci è stata venti secondi mentre bisognava portarci le scuole, l’unica è andare qui (senza sperare di abbracciarlo che Caligari è morto prima che il film uscisse) e nessuno, dico cazzo, nessuno dalle alte sfere, dice un cristosantissimo di “mi dispiace”.

Forse doveva morire meglio, non lo so.  O forse è meglio che ci facciamo due risate e stiamo apposto con le trattazioni. Vedete un po’ voi.  

Rose la psicolabile

Un post che volevo scrivere da una vita, o per lo meno dalle ultime 24 ore.titanic

Da brava figlia degli anni Ottanta, ho visto Titanic nel meglio della mia adolescenza: avevo, all’epoca dei fatti, circa 15 anni e mi accompagnavo ad una discretissima compagnia composta di giovani esponenti di sesso femminile residenti nella provincia della provincia del Sud Italia. Eravamo io, una tizia che non nomino perché potrebbe riconoscersi e farmi una palla gigante, quindi la chiameremo Palla Gigante e Giovanna, l’unica donna al mondo persuasa dal fatto che Diana non fosse la moglie di Carlo d’Inghilterra bensì di Bill Clinton – idea espressa con coraggio durante una lezione con la madrelingua inglese – e che il paragone con Brenda Walsh fosse un complimentone su cui fondare la propria immagine.

Il nostro terzetto, che si reggeva su una sola base fisica, la logica sociale che rispondeva ad una sola domanda, ovvero “quanto ci mettono i tuoi a venirti a cercare nella piazza principale del paese brandendo una cucchiarella di legno?”, era noto per avere una libertà di movimento un po’ più ampia rispetto a quella delle nostre coetanee: potevamo, cioè, muoverci verso i paesi limitrofi quali Battipaglia, Campagna, Pontecagnano con scioltezza e il massimo che poteva capitarci era di trovare il padre di Giovanna in macchina sotto casa di una delle altre due. Comunque il padre di Giovanna di solito dormiva e puzzava leggermente di vino; tra l’altro il suo spessore culturale raggiungeva al massimo il commento “Luca, Luca, guarda ‘e zizz'”, ‘e zizz” rivolto al figlio minore durante Striscia la Notizia. I miei genitori monitoravano invece la mia vita sociale attraverso la lettura dei quadri scolastici semestrali, e comunque dato quello che avevo passato alle medie già il fatto che non tornassi a casa scormata di sangue era da ritenersi un grande passo avanti verso un futuro da socialite.

Far vedere Titanic a noi altre fu come spruzzare acido sulla melassa: i risultati furono strabilianti. Ma andiamo con ordine.

Nel mio paese il Cinema era morto. Nel senso che seriamente c’erano due sale – l’Italia e il Ritz – che nel decennio compreso tra l’incontro dei miei genitori e la mia infanzia si erano spente di botto ed erano rimaste vuote a fare da casa dei fantasmi per i bambini che, crescendo, cercavano di darsi una spiegazione tecnica a quei grossi spazi disabitati. L’ultimo film che avevo visto al cinema prima di Titanic era, dunque, “La Sirenetta” della Disney. Ma era tipo il ’98 e Leonardo di Caprio ci chiamava, per quanto a me i biondi non facciano molto effetto: era sulle copertine del Cioè, sui poster in camera, nei diari scolastici. Pareva che chiunque avesse qualcosa da dire sul suo fascino imberbe fosse una bambina scema. Ergo, se Giovanna aveva già chiara l’idea di sposarlo e Palla Gigante, da qui in poi PG, che era già alle prime pomiciate si sentiva una donna consapevole e capace di attestare con certificato sociale la prestanza di un uomo, io mi tenevo più sul genere faccio-finta-di-niente-oh-sì-Leonardo-è-proprio-bellissimo, mentre segretamente continuavo a preferire il genere cantante inglese originario di Manchester, cose tipo Jason Orange, per capirci. Se non volevo ritornare ai bei vecchi tempi delle medie mi conveniva tacere e cercare un autobus per Battipaglia, direzione cinema di cui non ricordo il nome.

La cosa fu molto semplice: mezza sala piangeva già al primo flashback della vecchia pazza che butta il Cuore dell’Oceano nell’Oceano senza pensare alla fame nel mondo, io cercavo di capire le parole di “My heart will go on” che è – diciamolo chiaramente – una delle peggio canzoni del mondo come dal saggio “Musica di merda” di Carl Wilson. PG cercava, con piglio da dura, di trattenere le lacrime ma aveva gli occhi fissi tipici di quelli che non vogliono piangere, non vogliono piangere, non piangerò Dio mio. Giovanna era senza ritegno: alla pudicissima scena del sesso automobilistico tra Rose De Witt Bukate e Jack Dawson confessò tra le lacrime che la sua prima volta sarebbe stata proprio così (ovvero nella stiva di una nave che sta per affondare). E io? Cazzo, poteva mezzo cinema comprese le mie migliori amiche piangere come un vitello – ammesso che i vitelli piangano – mentre io restavo la solita insensibile silenziosa piccola ragazzetta coi capelli biondi dietro e rossi davanti e le tette ancora troppo piccole? No!

Io ero come loro. Non ero quella strana che invece di baciare Domenico se ne era scappata giacché lui le aveva messo la mano al culo; non avrei argomentato che il film era pleonastico che tanto lo sappiamo già come finisce; non avrei spiegato che conoscevo anche la versione in lingua francese di “My heart will go on” e la trovavo migliore di quella inglese poiché Celine sembrava più a suo agio essendo una quebequese. Io sarei stata zitta. In sollucchero. IO AVREI PIANTO.

Piansi. Finsi una costernazione senza ritegno, davvero. Quella stronza di Rose De Witt Bukater saliva sulla scialuppa e Leo/Jack no? Raffaella scoppiava in singhiozzi. Quella cazzo di borghese progressista di Rose che – devo dirvelo, è lei il vero problema del film – sentiva il pianto di un bambino e correva a salvarlo? Raffaella si lagnava come affetta dal più tremendo mal di stomaco/colera. Jack/Leonardo Di Caprio, universalmente e moralmente riconosciuto come espressione formale dell’uomo che rinasce dopo il crollo della società industriale, annega dopo essersi congelato? Raffaella arrossisce, tossisce e TADAN, non facendocela più si rivolge a Giovanna: Giovà, ma scusa, se lei si spostava un poco ci stavano entrambi! Come vi ho detto, all’epoca Giovanna non era al massimo della sua capacità percettiva, ergo non poté suggellare la mia teoria che avrebbe trovato così conferma solo anni e anni dopo. Riuscì, però, a relazionare ampiamente circa la mia stranezza e insostenibile noncuranza appena uscita dalla sala. Ergo, PG pensò bene di farmi rimediare alla cosa offrendo al gruppo la possibilità di vedere, anzi, rivedere e rivedere e rivedere ancora Titanic: mi sospinse, ovvero mi scortò verso il più vicino videonoleggio, dove per la modica cifra di 45 euro prenotai Titanic in Vhs aggiungendo il mio nome ad una lista di fan di Leonardo di Caprio già lunghissima.

E il tutto tacendo su quell’unica scena buona di tutto il film in cui Jack è ammanettato mentre la nave affonda. Adesso, sia io che voi e probabilmente anche Jack sa che deve morire e di fatto così accadrà poco dopo, ma Titanic esplicita una cosa fondamentale nello svolgersi dell’ineluttabile: tra la possibilità che il nostro anneghi o si salvi c’è la sottile sfumatura di una morte resa leggermente più sopportabile dalla certezza di essere amato. Infatti Rose che non sposta il culo praticamente mai, una cosa buona la fa.

Ma analizziamo il problema Signorina De Witt Bukater personaggio che se mai volessimo traslare in un’epoca più vicina a noi sarebbe un’adolescente viziata e psicolabile. Ma analizziamo i fatti.

Rose ha 17 anni e:

  • fa già un chiaro, continuativo e stabile uso di tintura color rame e trucco da teatro;
  • ha una certa propensione anche per la pratica del tight lacing
  • si fa abitualmente, come dimostra il suo rapporto con l’alcol e il fumo;

Mentre sta tentando il suicidio per sfuggire alla sua piatta vita e ad un rapporto di mero d’interesse economico voluto dalla madre, conosce Jack. Meno di 24 ore e lascia mamma fidanzato prima classe e va a ballare con lui nei bassifondi. Avanti di mezza giornata e gli si spoglia nuda davanti e dice: tieni, qua stanno 50 centesimi, fammi il ritratto. Però non gliela da. Almeno non per i seguenti 15 minuti.

Poi il Titanic finisce contro l’iceberg e un pezzo di ghiaccio va pure in testa alla cara ragazzina che fino ad ora non ha ‘ncarrato n’ova int”o piatto: difatti, mentre il caro Jack è ammanettato ad una colonna e la nave comincia ad imbarcare acqua, lei inizia a mandare affanculo tutti de visu (prima lo faceva in silenzio) e raggiunge il nostro. Trova un’ascia, spezza le catene del nuovo Spartacus  e tra milleuno peripezie i due raggiungono il ponte. Adesso, abbiamo già detto che l’abitudine alla comodità della nostra si farà risentire a breve quando si approprierà di un pezzo di legno di 228cmx90, ma l’aver contribuito a mostrare che tra il morire dimenticato da tutti e il morire degnamente accompagnato c’è differenza la rende leggermente più tollerabile e fa del film una palla atroce che però come divertissement infrasettimanale ci sta bene. 

Poi, sarà che sono cresciuta, ma Giovanna e PG forse tutti i torti non avevano ragione: Leonardo di Caprio è bellillo, ja.