CategoriaPietro

Formalmente Pietro era mio padre.
Nella realtà fuori dalla forma, era un uomo che dipingeva e giocava – e molto bene – ad insegnarmi cose come: il tempo che ci vuole perché la pittura ad olio si asciughi, cosa fare di carta lucida e carta millimetrata, perché se pensi di scrivere o di disegnare devi scordarti la gomma da cancellare, come calare una mano buona a Scala40 o a Poker e quanto la musica sia la compagnia necessaria, l’unica mediazione possibile tra te e il mondo, soprattutto quando il mondo non ti sembra un gran bel posto. Io sono convinta che il lutto sia una specie di autocommiserazione prolungata, sapete (una volta ho letto che in Nuova Guinea c’è chi trita gli antenati, aggiunge la polvere ad una birra e alza il calice alla salute), e poi Pietro, di suo, non mi ha lasciato un motivo che fosse uno per essere davvero triste, anzi: ho una libreria – un ecosistema a parte, a dire la verità – e tutti i suoi fumetti e i suoi quadri e le sue poesie; ho parte della sua faccia sulla mia (il naso, il modo di ridere tanto mettendo la lingua tra i denti); milleuno ricordi belli tra cui scegliere quando mi prende male e la profonda gratitudine di aver avuto come padre un uomo che mi ha lasciato libera, sempre.
Qui trovate tante cose che lo riguardano, anzi, che ci riguardano. Sono felice se vi fanno simpatia, se attraverso le mie parole o le sue, Pietro Ferré ha ancora una possibilità di far sentire qualcuno meno solo o meno strano, amato tantissimo e senza che nessuno gli abbia insegnato come fare, come è successo con me.

Basta una sciarpa per passare da Inga la svedese a Hiina la polacca

Salve,

vi scrivo dalla mia pausa pranzo. Saluti dai salatini Doriano. Qui va tutto bene, solo che non abbiamo riscaldamento e fa un freddo porco. Avete presente il Freddo Porco?


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Salutate il Freddo Porco.

Voi non avete idea di  come sto imbacuccata. Ho addosso: stivaletti con pelliccetta, vestito di lana e  due capi di abbigliamento che non utilizzavo dalle scuole elementari: la maglia a collo alto e le calze di lana.  Se ci aggiungete il fatto che ho i capelli legati con le treccine avete il quadro completo della mia perdizione.

Bene, torniamo a noi. Stamattina, sotto la metropolitana di piazza Cavour è passato un treno proveniente da Torino, uno di quelli con le cuccette. Una volta raggiunta la banchina i passeggeri mattacchioni hanno buttato dal finestrino le lenzuola di cellophane e un paio di petardi. Il treno portava 570minuti di ritardo e probabilmente quelli che ci stavano su avevano finito acqua e panini da tempo, chissà se s’erano portati le coperte. Io, personalmente,ogni qual volta faccio Napoli Eboli mi porto anche il disinfettante.

Questo natale io non so che faccio, e nemmeno a Capodanno. Me non mi piace uscire molto, comunque, specialmente il 31. Mi piace stare a casa mia a giocare a scala quaranta e vedere Blob. E pure i film, ché la programmazione tv della notte di Capodanno ti fa sperare seriamente in un mondo migliore. Roba che ti mandano in onda Frankenstein Junior e il Rocky Horror Picture Show a distanza di poche ore.

Il mio must cinematografico per Natale, in ogni caso è S.O.S Fantasmi con Bill Murray. Ho programmato una lunga session sotto il piumone con Il Padrino I, II e III + Quei bravi ragazzi + Criminal Minds. Parliamo di Criminal Minds. Le ultime puntate erano paurosissime, Reid è sempre più bello e pure Hotchner (ho volutamente inserito link solo per loro).

Le canzoncine natalizie invece quest’anno niente, a parte i soliti Drifters con White Christmas. Persone non meglio qualificate mi stanno rovinando con Gianni Celeste e “senza e te nun pozz sta pecché tu m’appartien”  e Tony Colombo con “Cenerentola è de Napule”.

Regali natalizi ne ho fatti 3 di numero e devo rapidamente rimettermi in pole position, sennò mi picchiano. Quindi domani pomeriggio, quando finalmente riacquisterò funzioni sociali, devo fare 3294583 regali.

Io che voglio? Non lo so. Per la prima volta nella mia vita sto dicendo a tutti che o mi danno i soldi o fanno loro. Poi mi sono accorta del grave danno inferto alla mia immagine di ragazza con le idee chiare. Quindi:

 – mi piacciono gli stivali alti alti, li ho visti a Piazza Carità passando col motorino, stanno 75 euri (ho la vista lunga)

– mi piace molto un giubbetto di pelle che ho visto da Alcott un mese fa e costava 20 euro.

– mi piacciono un sacco di libri, ma no, non se ne fa niente, non vi rendo la vita più facile. Oppure sì. Se riuscite a trovarmi The driver’s seat di Muriel Spark stiamo pace

– Uh, però mi potete regalare un’agendina! Di quelle bellissime colorate fatte tipo organizer.

– Ripensandoci, l’ho già comprata. E’ nera con le coste rosse. Dentro ci stanno le schede datate 1952

– Voglio un portatelefonino di quelli per il touch screen. Il telefono è rosa, quindi ci vuole un colore che si adatti. Ne avevo visto uno bellissimo di Hello Kitty all’Autogrill, ma una certa persona aveva fretta di tornare a casa quindi niente Hello Kitty.

– Che poi me Hello Kitty mi sta un poco sul cazzo

– Però poco

 – Pochissimo

– Ripensandoci io ce l’ho il portatelefono di Hello Kitty. Solo che l’ho lasciato a casa mia e se l’è fregato mio padre.

– Dunque, mio padre ha superato i 50 e gira con il portatelefonino di Hello Kitty

-Devo telefonare a casa mia

(Reprise)

Non voglio niente più, mi sembra. Si.

Passiamo alle cose mangerecce. A me a Natale servono poche cose base: il mais tostato, il panforte, il panettone con le uvette, i castagnacci, i roccocò e i mustacciuoli. Poi potete cucinare quello che volete voi. Tengo in testa certi spaghetti coi gamberoni che mi ha dato la ricetta un signore che se ne intende, quindi se a casa mi lasciano la cucina proveremo questo. Il punto è che io arrivo a casa mia il 24 a mattina, mi sa che se me ne esco che vado trovando i gamberoni la vigilia di natale mi picchiano. Mamma, se vuoi che cucino io mi fai trovare i gamberoni? Grazie. Poi ti telefono dopo.

Adesso vado, mi ero dimenticata che devo fare i riversaggi. Che ragazza simpatica.

La verità, vi prego, sulla pubblicità

Come quella reclame della bolletta elettronica, no, ce l’avete presente? C’è la famigliola felice che si fa una foto con l’autoscatto, la ragazzetta col mangianastri che s’è mangiato la cassetta, la tizia che scrive a macchina, il ragazzo che cerca una stazione radiofonica girando la manopola, un tizio che davanti alla buca delle lettere apre e legge una bolletta . E mentre stiamo là a pensare a quante volte ci siamo trovati nella stessa situazione, alle bollette e a come cazzo era difficile correggere una parola con il correttore, roba che dovevi bagnare il pennellino appena appena per non far spugnare il foglio e poi stare là a soffiare nella direzione giusta, la voce fuori campo ci invita a riflettere sui gesti che abbiamo dimenticato, superato. E fin qui tutto bene: diciamo la verità a noi stessi, il mangianastri ci aveva mandato in frantumi tutte le cassette mixed by erry, il rullino della polaroid costava una botta e la radio è meglio sentirla in streaming.  Resta solo l’odiatissima bolletta, puntuale e fuori luogo come la morte (cit.) Altro che patina del tempo: la pubblicità ci ha preso, siamo pronti a fare qualsiasi cosa ci dica di fare. Senonchè.

 

Senonchè, dopo una bella schermata che ci fa sapere con chi abbiamo a che fare, compare sullo schermo il gesto nuovo, il passo avanti della specie: la bolletta elettronica. Un signore molto distinto, con camicia abbottonata, computer a schermo piatto, casa con colore bianco dominante, ce ne mostra l’utilizzo: la bolletta  è consultabile  direttamente  dal  personal con molta calma. Oh, ma cosa cazzo tiene in mano? Eh? Perchè sta bevendo un liquido dal colore paglierino mentre legge la bolletta? Cos’è, camomilla, valeriana o qualcosa di forte? Ci sta consigliando di fare lo stesso? Di sederci con molta calma come davanti ad una cattiva notizia e di farci una camomilla o uno scotch prima di connetterci? Quanto cazzo costa questa cosa elettronica? Pieno di risentimento, mio padre ha cambiato canale e ha detto che erano meglio i tempi di una volta.

 

O anche, le pubblicità nuove tutte con le canzoni anni ottanta. Cioè, mi stanno sputtanando gli A-Ha, i Roxy Music e pure Enola Gay. Cos’è, sono finite le soundtrack anni settanta?  I Beatles stanno citando per danni? Non si porta più fare i virus memetici con le parole nuove su una basi conosciute, cosicchè nessun bambino sa chi erano i Ricchi e Poveri ma tutti sanno dirci che il Papapaparmiggiano è buono assai? Devo aspettarmi di sentire Brian Ferry in uno spot di detergente intimo? I Queen per una reclama di biscotti (no, questo è già successo). Io ancora non mi sono ripresa dall’utilizzo di The first cut is the deepest. Per Iggy Pop nella sigla di Tempi Moderni.  Ricordo con terrore il giorno in cui ho canticchiato Donovan e mi è stato risposto: “uhh, la canzone dei salatini”. Propongo un’azione mirata per non vedere compromessi i nostri ricordi. Gli anni ottanta sono solo l’inizio, la fine è vicina: presto arriveranno ai Jefferson Airplane, a Rory Gallagher, a Nick Cave.

 

(questo post è volutamente privo di link, anche perchè cercare tutto su wikipedia non sarebbe etico)