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Guida pratica ad una storia qualunque

Sto scrivendo e quando scrivo divento una specie di tigre con le turbe dell’umore. Alcuni dicono che lo sono sempre comunque: se sono amici la prendo bene, se non lo sono li sbrano giusto per confermare la loro impressione, sia mai che li lasci con un interrogativo.

Comunque, è da qualche settimana che pensavo ad un fatto e cioè alla gamma di sentimenti che si lasciano alle persone davanti alla fine di una storia o di un’amicizia. Ci sono arrivata perché come capita a tutti anche a me è successo, certo, ma soprattutto perché ho letto due articoli – questo e questo  per completezza di informazione – che mi hanno fatto incazzare molto. E quando mi incazzo per un articolo, ecco, la tigre di cui sopra mi fa un baffo.

Gli articoli non parlano di grandi storie d’amore o di amicizie decennali ma della loro forma liquida, ovvero le “non-relazioni”.
E, cito, una di quelle cose che:

“non vengono mai definite (un vero enigma, lo so), che non possono essere “impacchettate” con cura e non sono mai descritte in maniera adeguata alle feste. (Ti presento X, questa settimana mi piace lui)”

In realtà a quello che vedo io le definiamo benissimo: parliamo sempre di “amico” o “amica” senza sputarci in faccia da soli per aver usato una parola che significa tutt’altro per una storia in cui, per la maggior parte del tempo, l’amico/amica in questione ci riduce a mucchietti di dubbi che si dondolano da un piede all’altro ascoltando canzoni tristerrime. Il tutto è segnato poi con il marchio rosso evidentissimo della friendzone, ovvero quella cosa in cui non sai e non vuoi sapere ma lei/lui ti piace, ci esci, fate sicuramente cose che gli amici alla maniera di Huckleberry Finn e Tom Sawyer non avrebbero mai preso in considerazione neppure lontanamente ma non lo dite chiaramente manco a voi stessi perché:

a) avete prove più o meno evidenti che l’altro non è nel vostro stesso mood e temete si spaventi e vi lasci anche se non siete mai stati insieme;

b) l’altro vi ha chiarito che non ha nessuna idea di relazione seria ma gli va tanto di continuare a scopare ridendo;

Cos’è questa, la ricetta per la felicità in virtù del “non prendiamo impegni, la vita è bella perché è varia, ‘e pummarole aumentano e ‘o ciuccio se stanca ‘ncopp’a sagliuta”? No, amico/amica: è la ricetta per l’esaurimento nervoso.

Digli ciao perché ti farà compagnia per un po’ mentre si prepara a diventare il tuo nuovo “amico/amica”, stavolta instaurando con te quel rapporto di amore/odio a cui tanto anelavi e su cui si regge l’equilibrio del mondo. Il resto, infatti, comprese quelle belle bugie che finiamo a dirci da soli quando dichiariamo che nemmeno noi sappiamo bene come andranno le cose e che in fondo che fretta abbiamo, è materiale da filosofia che – mi spiace dirlo – non è applicabile alla vita pratica.

La calma non è solo la virtù di chi non è coinvolto ma quella di chi non gliene fotte molto. E a voi invece frega, se siete arrivati a leggere fin qui. Vi lascio una citazione colta in merito, così potete utilizzarla:

La calma è una vigliaccheria dell’anima.
Tolstoj

Comunque, veniamo al sodo: uno degli articoli che ho condiviso (linkare, che brutto verbo) è una specie di guida su come sostenere questo tipo di cose. Se vi interessa o siete voi l’altro che non sa/non risponde può esservi d’aiuto. Anche perché io sono qui per l’altra faccia della medaglia, ovvero, consigliarvi di smettere di sostenere cose del genere.

Perché? Perché magari una storia del genere vi piace e vi diverte e non avete fretta, certo, ma mentre voi procedete senza farvi troppe domande, succede una cosa, sempre: smettete di sperare di essere sorpresi. E smettere di sperare di essere sorpresi è un fatto brutto a ottant’anni, figuriamoci se ne avete di meno. Il cinismo nell’ambito delle relazioni è una specie di lunga giacca nera: sta bene su tutto, ma poi non lamentatevi se qualcuno vi crede appena usciti da una veglia funebre.

 

Come prima cosa, bisognerebbe parlare all’altro coinvolto nella storia, almeno per assicurarsi lo sia davvero. Magari vi trovate davanti ad uno che mentre voi parlate di sentimenti vi guarda come a dire “ma tu ‘o vero staje facenn?” (e cioè, traduzione per i residenti fuori regione Campania: “ma dici sul serio?”).

Per pietà, per pietà signori e signorine e signore: se dall’altra parte avete uno che non vi getta le braccia al collo con gioia dicendovi “ma sì, ho fatto tante cazzate nella mia vita, proviamo a fare anche questa che tra di noi ci si diverte comunque”, cercate di volervi bene almeno voi e prendete la porta. Siete già soli, tanto vale che lo siate davvero. Perché, ricordate: è meglio aver amato e aver perso che passare un paio d’anni in un film di David Lynch.

Nei film di David Lynch, infatti, ogni cosa vuol dire sempre un’altra cosa e quell’altra cosa è una cosa a cui avreste dovuto fare caso da subito ma non l’avete fatto perché c’era un’altra cosa che credevate volesse dire un’altra cosa e invece no. Perché comunque, vi sia chiaro:

NO HAY BANDA.

(e questo è il video esplicativo della vostra vita sentimentale)

Mi rendo conto che un vero manuale per la dismissione di cose del genere dovrebbe tenere conto anche dell’online (signore mio, grazie per avermi evitato un’adolescenza con facebook, grazie), ma daremo vita ad una discussione infinita e devo tornare a scrivere. Personalmente però ci tengo a dire che considero i social network come un racconto autobiografico molto indulgente: sicuramente c’è del vero sui nostri profili, ma state pur certi che le cose veramente importanti – quelle che ci fanno stare male, ad esempio – non le troverete mai.

Per questo se alle persone che realmente hanno fatto parte della nostra vita ad un certo punto basta la rappresentazione facile del virtuale (una volta avremmo usato la locuzione “ad usum delphini” che indicava i libri scelti  dal Re Luigi XIV  per l’erede al trono in cui i passaggi ritenuti più scabrosi o comunque inadatti alla giovane età venivano tagliati) per sapere come stiamo e cosa facciamo, beh, come dire: facciamocela bastare anche noi.

L’altro giorno condividevo sulla mia pagina la frase qui sotto.

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È una bella frase, non c’è che dire. Ci ho creduto per tanto tempo e per certi versi ci credo ancora. L’amore si può basare su un’assenza o su un’attesa, eccome: la religione, qualunque religione, è la prova che si può amare tantissimo e per secoli qualcuno che non c’è e che magari non si degna manco di farci una telefonata, ma che ringraziamo ogni volta che ci capita qualcosa di buono e a cui chiediamo consiglio ogni volta ci succede qualcosa di male. Però. Però sono anche sicura che una relazione è una cosa diversa. A meno che non stiate uscendo con il Messia. 

Se state uscendo con il Messia e avete una relazione, anzi, una non-relazione con lui, allora perdonate queste mie affermazioni ironiche: sono certa che aspettare il giorno del giudizio per capire cosa sta succedendo tra di voi sia la scelta migliore.

È la settimana internazionale del libro
ma il libro dice che non ne sa niente

È la settimana internazionale del libro, almeno così dicono su facebook. Poi, sempre su facebook, fanno questo giochino: prendi il libro più vicino a te, aprilo a pagina 54, ricopia la quinta frase, pubblicala come stato e non dire il nome del libro.
Non so,  vi ha preso una bella botta in testa?


Siamo fortunati che nessuno abbia ancora pensato di poter esprimere il proprio odio e rancore parlando in maniera forbita dando la colpa alla settimana internazionale della critica a Venezia.

Comunque, siccome sono una persona comprensiva voglio fare anche io questo gioco, sia mai che scopro qualche verità incontrovertibile sul mondo e sugli uomini. Allora, il libro più vicino a me in questo momento. Okay. Ho tremilacinquecentoventicinque libri vicini in questo momento. Okay, calma. Voi non ci crederete, ma io sto per chiudere gli occhi e acchiappare il primo libro che mi trovo davanti.

Dunque, pagina 54, la quinta frase recita:  “Soltanto una mente malata o dotata di grande fantasia avrebbe potuto accusare 27 giocatori famosi e 12 squadre, corredando la denuncia di date, riferimenti precisi e particolari.” Che ve ne pare? Premesso che se avessi riportato questo stato su facebook, in una domenica di campionato per giunta, m’avrebbero presa per una tifosa della Juventus, abbiamo ora risollevato le sorti del libro nella settimana internazionale a lui dedicata? No? Come no. Come cazzo, io mi sono messa qui, di domenica, e invece di guardare le fotografie del matrimonio di mio cugino ho cercato un libro, ho riportato la frase, e la cosa è anche inutile? Uao. E io che pensavo che ‘sta roba valesse solo per le storie d’amore.

Questo per dire che se davvero credete di festeggiare il libro nelle giornate a lui dedicate che poi magari il libro si offende e non vi invita al compleanno l’anno prossimo, andate in libreria. Spegnete il computer, uscite di casa, prendete la metropolitana anche se non abitate a New York, ma andate a guardare sugli scaffali e cominciate a rendervi conto della quantità immane di libri che esiste al mondo e non solo sul vostro comodino.

Qualche tempo fa, prima di partire per la Fiera di Torino, cercai di evitarmi lo shock che m’aveva preso la prima volta al Lingotto davanti all’enormità non di libri che volevo leggere ma di libri con cui non volevo avere niente a che fare, e trovai questo post che diceva, tra le altre cose, che:

  1. Vengono pubblicati ogni giorno circa 170 libri per un totale di 55.000 titoli stampati l’anno;
  2. Per far posto alle “novità”, i libri hanno una “vita media” di circa 40-60 giorni (nel 2000 resistevano 90 giorni sugli scaffali) e ogni anno vengano ritirati dal mercato circa 40000 volumi (dal 1996 al 2005 sono usciti dalla circolazione 373.787 libri). Quindi, se la matematica non è un’opinione, il 35% della tiratura di quei 170 libri editi al giorno, è destinato al macero.
  3. Negli ultimi 5 anni sono stata pubblicati più titoli rispetto al passato: 600 mila nel 2005 contro i 370.000 del 2000;

il resto è qui

Ecco, io mo non è che voglio far venire la depressione a qualcuno, sia chiaro. Cioè, solo un poco. Il fatto è questo: nel migliore dei casi c’è un bel po’ da leggere. Nel peggiore – e io sono nella fase nichilismo vieni a me – un bel po’ da cui tenersi lontani.

Per completezza d’informazione e poiché non tifo Juventus, il libro citato è “Calcio Truffa – Dossier Segreto” di Luigi Ferrajolo, pubblicato dalla casa editrice Inei, stampato nel giugno 1980 dalla Polisud e diffuso sul mercato al prezzo di 5.500 lire.  Probabilmente acquistato dalla sottoscritta a Port’Alba qualche anno fa.