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A.A.A. Cercasi libraio, editore, scrittore, lettore, persona
che pensi “stiamo sbagliando qualcosa” e si adoperi per rimediare.

Trovo banali le discussioni sulle librerie che chiudono, come quelle sulle librerie che aprono. Il fatto è questo: se mi chiude un negozio di vestiti, non è che esco nuda. Se mi chiude una libreria, non è che non leggo più. Il mio discorso potrà sembrarvi irrispettoso, ma fatevelo dire da una che ha visto, negli ultimi due anni:

  •  chiudere 4 posti che vendono libri (grandi e piccoli, di catena e non, con supersconti per la chiusura o chiuse di botto senza sconti per nessuno); 
  •  un paio di convegni su quant’è bello fare i librai, ma perché non facciamo tutti i librai;
  •  un botto di scrittori di questa città, me compresa, con libri nuovi in uscita;
  •  un botto di scrittori di questa città, me compresa, che poi il libro nelle librerie di questa città non c’è;
  •  un botto di lettori di questa città, me compresa, che hanno difficoltà a trovare un buon libro da leggere;
  •  un botto di gente che le librerie aprono o chiudono, che me ne importa. 

Allora mi chiedo, e vi chiedo: è normale o è giusto, preoccuparsi per la chiusura di una libreria solo quando la si chiude con la saracinesca? È normale o è giusto, correre a comprare il libro di cui parlano tutti e poi indignarsi se Gian Arturo Ferrari a Francoforte dice, più o meno, ah, guardate, c’è stata una grande moria delle vacche, come voi ben sapete? È normale o è giusto, pensare che una libreria non è solo un posto dove si vendono libri, ma anche un luogo dove se ci vado io domani mattina, e chiedo un consiglio, dico, guarda, mi piacciono questi autori e questi no, adoro Faulkner ma non sopporto i suoi imitatori, mi rispondano? Ecco, di cose così io mi preoccupo, e vi giuro, non voglio che le librerie chiudano, e non voglio che alle fiere dell’editoria mi prenda il panico (mi è già successo, e non per la mole di libri che volevo leggere, ma per quelli con cui non volevo avere niente a che fare). Io voglio qualcuno, libraio, editore, scrittore, lettore, persona, che pensi “stiamo sbagliando qualcosa” e si adoperi per rimediare.

Nella fattispecie, tu libreria che chiudi, posto in cui sono stata tante e tante volte, dove ho conosciuto autori che adoravo, tu, libreria, capisco e comprendo e mi dispiaccio, ma potresti, per favore, non farmi il discorso della crisi economica come crisi culturale?
Perché il fatto è che non è vero che se non ho soldi per comprare un libro, allora divento analfabeta (a me succede ogni mese di non avere abbastanza soldi per comprare tutti i libri che vorrei, ma so ancora cos’è la consecutio temporum). 
E non è vero che se abbasso i prezzi di un libro allora ho più gente che lo compra (se il libro è bello ci spendo anche 20 euro, per capirci). 
Non è vero che un presidio di cultura muore solo perché non ha lo spazio fisico in cui avere domicilio (altrimenti non avremmo avuto gloriosi gruppi culturali nati via lettera). 
Non è vero che la cultura letteraria passa per l’acquisto: la cultura passa per l’educazione alla lettura e quella si può sempre fare, e si fa anche stando attenti alle piccole realtà editoriali, ai piccoli gruppi di lettura, ai ragazzi che dei libri non sanno niente, a chi non ha un posto dove mettersi tranquillo e scrivere, a chi non ha un posto dove mettersi tranquillo e leggere, a chi non ti conoscea chi non ha un posto dove dire la sua in materia di libri e non preoccuparsi di avere un’opinione diversa, a chi cerca uno spazio per far qualcosa di nuovo, a chi in questa città ha 30 anni e ci è cresciuta nei posti che negli ultimi mesi han chiuso, e Dio Santo, si sorprende e ci resta male, ma non sa proprio come aiutarti (un paio di idee le avrebbe pure, eh, e sono qui dentro).


 

Distante da ciò che più a cuore mi sta

Santa Precaria è nelle Mondadori. E’ nelle Fnac. Nelle Feltrinelli, accanto al mio amoreFrancis Scott Fitzgerald.  Nelle librerie fiduciarie di Stampa Alternativa. E’ in buona compagnia in un altro centinaio di librerie italiane e su 18 librerie on-line. Santa Precaria non c’è, invece, sui pochi scaffali, nelle librerie di Eboli. Nella cittadina di 38mila abitanti dove sono nata, cresciuta, pasciuta ci sono i tavolini dei bar ed i gelati, il teatrino di Pulcinella, le feste di piazza e lo struscio sul viale; di Santa Precaria, i manifesti bianco e blu conformi all’identità visiva. Gli amici che hanno provato ad entrare, nelle piccole cartolibrerie dove fino a qualche mese fa spendevo i miei soldi, che hanno provato a chiedere del mio libro, ne sono usciti a mani vuote e con la faccia stupita, la bocca semiaperta di chi vorrebbe dire e rispondere ma non sa cosa, perchè ciò che è accaduto non rientra nelle sue capacità di comprendonio: “noi questo libro non ce l’abbiamo” o anche “non l’abbiamo ordinato e non vogliamo farlo” e ancora “se proprio ci tenete, portatecelo voi e poi facciamo a metà con il venduto”.
Ho ricevuto e-mail e telefonate a questo proposito ed a tutti non ho saputo dare una risposta certa: io non so perchè Santa Precaria non sia nelle librerie di Eboli come, invece, accade nelle librerie di tutta Italia. Allo stesso modo non conosco i nomi esatti di chi sta lasciando commenti vari, pieni di maleparole, sui vari siti. La verità è che mi sento un po’ lontana, non solo mentalmente ma anche fisicamente, da questo piccolo mondo. La cosa, che una volta mi avrebbe spaventato, oggi mi fa quasi sentire leggera. Il mancato rispetto di chi vuole affacciarsi al mondo del lavoro, di chi vuole imparare, di chi vuole far palare i piedi (per dirla alla Elio) non mi tocca più. Come nella canzone, inizio a sentirmi “distante da ciò che più a cuore mi sta”. Ecco, se c’è qualcosa che mi spiace è proprio questo: l’allontanamento, questa volta vissuto con cognizione di causa, dal posto in cui sono nata, cresciuta e pasciuta. Un’anima in meno alle 38mila, se fa comodo.

 

PS: i libri più belli della vita mia, comunque, li ho comprati alla bancarella che sta sul viale, eh.