Egregio dott. Brunetta,

le scrivo in merito alle sue affermazioni odierne. Io non so se quella gente che voleva parlarle del precariato è davvero la peggiore d’Italia. Non so se hanno armi di distruzione di massa a casa loro o se maltrattano i figli e gli animali domestici con le scariche elettriche. Non so se inducono alla prostituzione le sorelle minori o se rubano dai supermercati il latte a lunga conservazione. Magari si riuniscono nel circolo sotto casa e fanno festini con droga e prostitute. Magari si, magari è così e lei vede tutto come in quel film del serial killer che gli bastava incrociare lo sguardo di una persona per carpirne i peccati.

Perché lei ha ragione, sì, da precari davvero si diventa persone peggiori. Sì, a veder mortificate le proprie aspirazioni, a non sapere che cosa succederà al proprio lavoro tra due settimane, a non poter sognare di avere una casa senza sentirsi patetici, ad aspettare con terrore la bolletta dell’enel, si diventa orribili. Si evita persino di fare gli auguri di compleanno ad un amico per non dovergli poi comprare un regalo. Noi donne non ci si fa più la ceretta e la tintura. Da precari si diventa rabbiosi più di un pitbull. E’ fortunato che non l’abbiano morsa, dottor Brunetta.

No, non faccia l’errore di credermi una reazionaria estremista di sinistra o giù di lì: sono, anzi, una che ha avuto a che fare con entrambe le parti politiche e purtroppo ho visto che anche a sinistra i precari possono rompere le scatole. Noi precari disoccupati atipici giovani si è insopportabili alle volte, solo che c’è chi lo nasconde meglio.

Vede, tra le varie io ho solo una cosa che mi preme contestarLe, solo una: quella cosa sull’andare a scaricare cassette di frutta al mercato. Senta, io ho ventotto anni e nella mia vita professionale non ho conosciuto altro che il precariato spinto. Non posso permettermi neppure un armadio, figuriamoci una casa. Se lei mi assicura che ai mercati generali mi fanno un contratto a tempo indeterminato per più di 600 euro al mese io ci vado subito. Di corsa. Domattina. Dico sul serio, sono una persona sana e ottimista, l’ho già fatto, mi piaceva pure. In barba a lauree, qualifiche, iscrizioni ad albi, velleità, sogni e via dicendo. L’ho fatto senza avvertirne la mortificazione: un lavoro è un lavoro e spesso la sua dignità sta nel pagamento alla fine del mese. Però sa: al supermercato dove ho lavorato io mi hanno pagato a nero. La sola differenza che mi è stato possibile riscontrare tra un lavoro pratico e manuale e un lavoro corrispondente ai miei studi era che nel primo caso mi facevano male le mani e nel secondo lo stomaco. La rabbia era sempre lì, intatta.

Cordialmente,

Update: questa letterina era sull’Unità del 18 giugno, grazie ai colleghi e al direttore, speriamo che non se ne vada per davvero.