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Le cinque canzoni dei Beatles
cui Vespa non dedicherà una puntata di Porta a Porta
(si spera)

L’altro giorno è stato il cinquantesimo compleanno di Love me do. Un po’ come la storia del libro un paio di settimane fa, la ricordate? Proprio come il libro, anche Love me do non aveva bisogno che le si facessero gli auguri. Immaginate fare gli auguri a una canzone: solo Bruno Vespa che con gli oggetti e i simulacri sembra avere un rapporto particolarissimo poteva provarci. Però siccome non posso fare sempre bastian contrario, oggi voglio provare a pensare positivo (e la cosa durerà venti minuti). Pronti, via.

……

Prologo ( i lettori non interessati alla mia storia personale sorvolino su quanto segue fino a nuova comuncazione)

Per una serie di motivi che non sto qui a spiegarvi, quand’ero una bambina, a casa mia non era possibile fare un cazzo senza che ci fosse musica. Stavi lavando i piatti? Arrivava mio padre e diceva: “Neh, ma perché non metti un po’ di musica?”. Stavi studiando? Arrivava mio padre e diceva: “Neh, ma niente musica?”. Stavi meditando di tagliarti le vene? Arrivava mio padre e diceva: “Neh, ma perché ti sei chiusa dentro? Non è che metti un po’ di musica?” . Mettevi la musica, più che altro per continuare a tagliarti le vene in santa pace. Solo che la musica doveva essere:

  • italiana;
  • cantautoriale;
  • non cantautori semplici;
  • liriche  rigorosamente comprensibili nella struttura di soggetto verbo e complemento (se non per alcune licenze poetiche lasciate alla coppia Battisti-Panella);
  • calma e non troppo ballabile (se non per alcuni ritmi rock progressive de Le Orme) (che erano più famosi di Peter Gabriel e avevano Hammill dei Van Der Graaf Generator a fare da ospite fisso nel tour teatrale, ma questa è un’altra storia). 

Se sbagliavi musica erano cazzi. Arrivava mio padre e diceva: “Neh, e che cos’è sta robba?” ricordando improvvisamente di vivere nel sud Italia. Poi tornava europeista e ricominciava con “Metti un po’ di musica?”. Se non mi sono tagliata le vene è perché mio padre mi ha distratto, insomma. Direte: “Perché la musica non la metteva direttamente lui?”. Perché era peggio, ascoltatemi.

In questa autarchia musicale che credo abbia avuto precedenti solo in certi periodi di totalitarismo erano bandite diverse espressioni creative come quelle dei cantanti neomelodici (ed è un problema bandire i cantanti neomelodici quando sei nata a un’ora e mezza di macchina da Napoli), dei gruppi new wave (fortunatamente vivevo anche in un posto dove facevano festival di musica alternativa) e di qualsiasi cantante o band di lingua madre inglese (fortunatamente avevo dei cugini più grandi). Questo perché mio padre, sempre lui, non capiva niente della lingua tranne Okay, That’s all right e Yes.

Su un solo gruppo musicale straniero non attaccava la solfa del “non capisco cosa dicono” chiedendo repentinamente la traduzione e/o il cambio di disco. Per tutta la mia infanzia sono stata persuasa che la canzone Let it be dicesse, in realtà, Lady D e fosse dunque dedicata alla figura della triste principessa Diana, questo perché così la cantava il mio adulto di riferimento più vicino, ma non ho mai ricevuto, da parte sua, lamentele sui Beatles. 

Fine del Prologo ( i lettori non interessati alla mia storia personale ora possono tornare a leggere) 

E ora passiamo alla lista delle cinque canzoni dei Fab Four di cui dovreste ricordarvi anche senza compleanni e puntate di Porta a Porta (e cliccando sui titoli le ascoltate anche). 

      1. Lady Madonna: 1968 e crisi già attuale per questa signora che deve vedersela con un martedì pomeriggio che non finisce mai, un mercoledì mattina in cui non sono arrivati i giornali; il giovedì passato a ricucire le calze, e tutto questo mentre i suoi bambini corrono davanti a lei e imparano ad allacciarsi le scarpe. La canzone è ballabilissima e mi consente di arrivare in tempo a lavoro: See how they run!
      2. Penny Lane: 1966, mia, sempre. Contenente il più bel ritratto a pastello di una donna nella storia della musica nella strofa che fa:
        Behind the shelter in the middle of the roundabout,
        a pretty nurse is selling poppies from a tray
        and though she feels as if she’s in a play,
        she is anyway;
      3. We can work it out : canzone del 1965 che rappresenta fondamentalmente il mio approccio alle questioni della vita che vanno sotto il nome di “divergenze di opinione” (come sono politically correct a non chiamarli semplicemente scassamenti di cazzo come fanno tutti) . Il ritornello fa più o meno così:
        La vita è tanto corta e non credo ci sia tempo per arrabbiarsi e combattere amico mio,
        ho sempre pensato che sia un crimine perdere tempo così, quindi te lo chiederò un’altra volta.

        Da notare come la minaccia di prendere provvedimenti in caso contrario sia sottaciuta in maniera inglesissima. 
      4. You’ve got to hide your love away: uscita nel 1965, dà il consiglio giusto a tutti i sofferenti di quella malattia mentale che va sotto il nome di amore molto più di Yesterday. Non ci credete? Provate con me:
        Eccomi qui con la testa tra le mani, il viso rivolto al muro
        Se lei se n’è andata io non posso andare avanti sentendomi più piccolo di sessanta centimetri
        Ovunque la gente mi fissa 
        (tamburello) Ogni giorno e tutti i giorni (secondo tamburello) Io li vedo ridere di me (terzo tamburello)
        Li sento dire: Ehi, devi nascondere il tuo amore (quarto tamburello)
        Al quinto tamburello state ballando, giuro, con qualunque dolore sconquassante abbiate nel petto. Al sesto tamburello, volete comprare un tamburello. Al settimo, la vita e il tamburello vi sembrano molto più interessanti di qualche minuto fa. Al verso: Come ha potuto dirmi che l’amore troverà una strada? + tamburello comincerete a farvi le domande giuste e vi monterà in corpo una certa rabbia che l’amore o quello che è lo nasconderete ben volentieri, per qualcuno che non dice queste stronzate, of course.
      5. Paperback Writer canzone del 1966, venuta fuori essenzialmente perché serviva un singolo che non parlasse d’amore quindi parla di scrittori. Secondo me è la più adatta a parlarvi degli scrittori ancora oggi. Soprattutto in Italia. Non ci credete? Ecco la prima strofa:
        Egregio Signore o Signora, vuole leggere il mio libro?
        Ho passato anni a scriverlo, gli dareste un’occhiata?
        E’ basato sulla storia di un uomo chiamato Lear,
        e io ho bisogno di un lavoro, così voglio diventare uno scrittore di tascabili,
        Scrittore Di Tascabili! 

ps: in una lista delle mie canzoni preferite dei Beatles, le cinque qui riportate sono solamente indicative. Io opto spesso per la loro fase psichedelica e fino a quando ci saranno campi di fragole so che non dovrò preoccuparmi troppo.