Tagchecco zalone

Non (voglio) essere cattiva

Non per puntualizzare, ma avevate detto che il 2016 era un anno nuovo, diverso, la svolta, il meglio deve ancora venire, invece è lunedì come al solito. E piove. 

Ciao amici. Dopo lo spumante, il meno tre due uno, mi sono immersa in uno spazio che ha corretto i miei sentimenti e sono ora nel tempo futuro a cui non ho diritto, con tre arance per il pranzo e la sciarpona fatta da mia nonna. Bene. Da questo abisso siderale da cui non uscirò manco pagata, un posto che conosciamo io e Judith Shalansky –  la tizia dell’Atlante tascabile delle isole remote  –   ho un paio di cose da dirvi, pigliatela bene.

La prima cosa è che ho appena visto i giornali con gli speciali su Pino Daniele “requie’ e ppace all’anima soja” e mi fanno tutti pensare che la morte ha davvero un ruolo sociale in questa città, insomma sulo si si muort’ la tua impresa diventa imperitura e la dobbiamo sancire tutti, se vivi e campi e fai delle scelte (musicali, geografiche, politiche etc) sei una specie di figlio degenere. Comunque, il verbo emancipato post mortem non sarebbe male se non vivessimo in un posto dove ti propongono di buttare il sangue più o meno metaforicamente più o meno tutti i giorni e che, per scrivere certe cose, Pino Daniele deve averci fatto i conti ai tempi suoi ma anche in seguito con una serie di schifezze non da poco. Ma niente, è muort’ e da personaggio a cui possiamo togliere le battute, da comparsa senza soggetto da interpretare, diventa protagonista assoluto di cui ci suchiamo anche i fuori onda alla telecamera in cui ci manda gentilmente affanculo. 

La seconda è che la dovete piantare voi e Checco Zalone e Quo vado?

quo-vado

Ve lo dico nel senso buono. E ve lo dice anche Marx che nell’introduzione della Critica della filosofia del diritto di Hegel, roba che sicuramente avete letto, e precisamente quando scriveva «l’ultima fase di una figura storica universale è la sua commedia» (e più del “posto fisso” a fare da emblema degli ultimi anni in Italia non so cosa possa esserci). In ogni caso, se avete bisogno di riferimenti alti a giustificare una qualche milionata di italiani (me compresa anche se il film ancora non l’ho visto che devo trovarmi una sala in cui non si pigliano a mazzate) non fate i reazionari come me e puntate tutto su zio Umberto Eco quando nel 1977, in un volumetto diffuso in famiglia dal nome “Apocalittici e Integrati” parlava della capacità di un prodotto di consumo, che «ci diverte non rivelandoci qualcosa di nuovo, ma ribadendoci quello che sapevamo già, che attendevamo ansiosamente di sentir ripetere e che solo ci diverte». Fate presto che se vi finiscono le citazioni alte dovete cercarvi la Sociologia del Cinema di Pierre Sorlin (ah, io quell’uomo l’ho amato sul serio) ma è roba del 1979, non so eh. 

Però, però, premesso che parlate con una che si è vista anche “Natale col boss”, sì, quello in cui sta Peppino di Capri (ragazzi, avevo bisogno di farmi un po’ di risate senza implicazioni, tipo quando fai sesso con una che domattina non devi rivedere insomma, roba facile), io mi schifo e anche molto, moltissimo, tantissimo, che non ve lo so dire, quando “Non essere cattivo” di Claudio Caligari Caligari, uno che pur essendo bravissimo ha fatto 3 film e sono uno meglio dell’altro e non so se è stato per mancanza di possibilità, di sostegno, perché si rompeva il cazzo, perché ci teneva a non inondarci di stronzate, davvero non lo so – , viene escluso dagli Oscar per il miglior film straniero, la pellicola al cinema ci è stata venti secondi mentre bisognava portarci le scuole, l’unica è andare qui (senza sperare di abbracciarlo che Caligari è morto prima che il film uscisse) e nessuno, dico cazzo, nessuno dalle alte sfere, dice un cristosantissimo di “mi dispiace”.

Forse doveva morire meglio, non lo so.  O forse è meglio che ci facciamo due risate e stiamo apposto con le trattazioni. Vedete un po’ voi.