Tagleonardo dicaprio

Il Grande Gatsby, o meglio, storia di come sono finita con gli occhialini 3D
mentre un uomo rideva e mi indicava
(senza rendersi conto che gli occhialini 3D li aveva anche lui e sembrava La Mosca2)

Sono andata a vedere il Grande Gatsby con una paura atroce motivata dal fatto che alla vista della primo Gatsby, quello con Redford per capirci, io mi ero addormentata. Seconda cosa, io Baz Luhrmann lo schifo cordialmente. Roba che “Romeo + Juliet” a me parve più una versione acida del videoclip di quella canzoncina dei Cardigans che altro. Poi, Leonardo DiCaprio, ecco, non so come dirlo. A me i biondi non piacciono. La bionda, in una relazione, ma anche in sogno, sono io. Due biondi assieme, è noto, stanno bene solo nelle pubblicità di Ralph Lauren. Vabbene, comunque non è delle mie fisiome sugli uomini che mi piacciono che volevo parlarvi. Volevo, piuttosto dirvi un po’ di cose su sto film che stanno facendo a chiavica più o meno ovunque e che a me, invece, è piaciuto. Cioè, non mi sono addormentata.

Prologo:
Ho letto Il Grande Gatsby in una versione a poche lire. Anche oggi esiste la versione Newton & Compoton, a 99 centesimi. A me sto fatto dei grandi classici a piccolo prezzo mi sta bene solo quando non ci scrivono un romanzo sopra o una serie di riflessioni economiche che manco Maastricht. Il prezzo piccolo non dovrebbe esser qualcosa di cui parla la casa editrice, ma il lettore al massimo, nel senso che ben lungi dall’avere un’idea di chi fosse stato a concedermi il piacere della lettura di un bel libro, alla me dodicenne il ridottissimo costo permise di trovare quello che sarebbe poi diventato il mio scrittore preferito ed è per questo che me ne ricordo, ed è sempre per questo che acquistai anche, per duemila lire se non sbaglio, ed. Newton di cui sopra, l’introvabile “Maschiette e Filosofi”, il cui racconto “Berenice si taglia i capelli” divenne il termometro morale della mia adolescenza. Il pensiero di un’operazione commerciale dietro un libro mi fa sempre un po’ strano. No, non sono una romanticona che pensa che la cultura non abbia prezzo: il prezzo ci sta eccome, ma come diceva Bismark, “per mantenere il proprio rispetto per le salsicce, così come per le leggi – e aggiungerei io, per la cultura – uno non deve guardare mentre le preparano”. Comunque se avete dubbi di ordine morale sull’acquisto di un grande classico e prima, vi prego, prima che esca un edizione patinata di Gatsby con la fascetta che dice “Da questo libro il film di Baz Luhrmann” quando la dicitura adatta sarebbe “Da questo libro, il libro”, ecco il mio consiglio spassionato che vi esula da pippe mentali: ANDATE IN BIBLIOTECA. Seriamente: prendete il C55 appena passa, scendete a piazza Carità e andate a Palazzo Reale. (O almeno, visto le trecentocinquantasettemila versioni cartacee di Gatsby – c’è anche l’audio libro con voce di Claudio Santamaria, per dire, io avrei preferito lui in carne ed ossa che va a leggerlo a domicilio – non comprate la prima che vi capita davanti solo perché, oh, ho visto il film, stanno le corse di macchine e le ballerine nere).

Il film, o meglio, storia di come sono finita con gli occhialini 3D mentre un uomo rideva e mi indicava (senza rendersi conto che gli occhialini 3D li aveva anche lui e sembrava La Mosca2):
Capitemi. Io ho poche cose di cui sono certa nella vita, e cioè:

  1. la bontà del limone sulle patatine fritte;
  2. la morte di Tony Soprano;
  3. marzo, come mese in cui escono le fresie;
  4. l’ibuprofene;
  5. il Bolero di Ravel;
  6. l’incontrovertibile verità che Daisy Buchannon è una grandissima cessa.

Punto. Prima ne avevo anche un’altra, centrata attorno alla mistica figura di Edinson Cavani, che è andata in frantumi non il giorno in cui sono cominciate le voci sui suoi amori, e neppure quando queste sono state confermate, e manco il calciomercato c’era riuscito a farmelo scadere dal cuore, così come il fatto che quando l’ho incontrato aveva al collo una medaglietta di Padre Pio. A separarci è stata la moda per l’estate (fatevi un giro sul web cercando le keywords cavani + modello, rendetevi conto degli occhialini rosa specchiati che indossa il centro di tutte le mie fantasie fino a dieci giorni fa). A questo punto volevo evitarmi qualsiasi scossone ai pochi punti fermi della mia esistenza, e il rischio di vedermi Daisy trasformata in una dolce e scossa fanciullina in balia degli eventi non volevo proprio correrlo. Dirò di più, poteva pure succedere che Daisy diventava un gioiellino di tenera femmilità, Gatsby una specie di Jack di Titanic vestito meglio e non morto (non ancora) e io una che esce dal cinema augurando la morte al regista. Ma l’uomo che mi ha accompagnato al cinema ( o meglio, l’uomo che ha detto, prendiamo il 3D così male che vada e ti addormenti non si nota) è stato più assertivo di me, nel senso che ha fatto i biglietti 2 ore prima della proiezione (in modo che non potessi fuggire o fare come quando state per uscire con uno che vi piace da secoli, che vorreste chiamare e darvi malata al pensiero che potreste trovarlo un cretino come tutti).

Cose belle della versione Luhrmann

  1. il sorriso di Jay Gatsby (ditelo che Leonardo DiCaprio più invecchia e più si fa figo, sì, è ancora biondo, però è più ciccio. Non so, me gli uomini con le spalle graciline, boh);
  2. il taglio di capelli di Jordan la golfista;
  3. la musica (vabbé, quando ho sentito la voce di Lana del Rey sono andata in visibilio);
  4. il 3D: non li state a sentire quelli che dicono “il 3D, giammai!” (qui scena esplicativa di come si dice Giammai!). Il film è pensato per il 3D e le scene in cui i fiocchi di neve e le parole di Nick Carraway volteggiano verso di voi, a me sono piaciute (sempre per il fatto che sono una romanticona, immagino);
  5. Ho letto da qualche parte, mi pare su Il Giornale, che Gatsby più che preda di un sentimento romantico appare malato e ossessivo: vorrei dirvelo, guardate, il discrimine tra l’amore e la malattia mentale, soprattutto quando non ci si vede da 5 anni è labilissimo. Per me Gatsby era malato anche nel libro, ed è stato questo a rendermelo così simpatico, perché il fatto che tutti noi, leggendo, sapessimo che Daisy era quello che era, e che lui stesso si stava raccontando una serie pressoché infinita di palle la cui capacità combinatoria era pari a quella dei numeri naturali, ecco, ce lo rendeva vicino. Facevamo il tifo non per lui – personaggio di cui avremmo potuto avere ben poca simpatia, se riassumiamo in brevi termini la sua figura – ma per la sua speranza;
  6. la scena in cui Daisy sta sul divano con tutte le finestre aperte e le tende che volano (solo perché è quello che abitualmente cerco di replicare a casa mia);
  7. il fatto che Daisy sia ancora una cessa noncurante

Cose brutte della versione Luhrmann

  1. Se la versione beige con Redford e Mia Farrow concilia il sonno (infatti è regolarmente trasmesso in orario postprandiale o seconda serata) questa fa venire un discreto mal di testa;
  2. Io, ad un vicino di casa del genere, mandavo i carabinieri una sera sì e l’altra pure;
  3. Ho visto gente stupita dal fatto che alla fine Gatsby muoia;
  4. Le macchine vanno troppo veloci per gli Anni Venti, Fast & Furious  è venuto dopo;
  5. E comunque se fossi Leonardo DiCaprio, morto talmente tante volte in acqua, non prenderei manco più l’aliscafo per scaramanzia;
  6. La scena del primo incontro con Daisy sembra presa da una commedia americana tipo “La verità è che non gli piaci abbastanza”;
  7. La vera identità di Gatsby è svelata due volte;
  8. Nick Carraway con l’esaurimento nervoso che scrive un libro dopo essere andato da un medico non solo è insopportabile: è pleonastico, da cui la mia battuta sul finale del film “ed ecco un altro che mo vuole pubblicare”.