Tutti i poeti schifano Aprile. E hanno ragione.
Ho sentito l’odore del mare anche a Poggioreale o a Ponticelli, ed era identico a quello dell’estate, e no, non mi ero fumata niente. Questo è il post necessario se lo avete sentito anche voi (il mare, intendo, non il fumo). Perché abbiamo abbastanza poeti a supporto per sapere che del mese di aprile è meglio non fidarsi.
Volevo scrivere questo post da tipo due settimane, ma sono state settimane pesanti in cui la primavera sembrava una specie di clausola. Quando anche il tempo è peggiorato, però, mi sono accorta che c’aveva ragione Sylvia Plath.
E anche T.S. Eliot. E pure Sandro Penna. Andrea Zanzotto. Pure Rodari, uno che notoriamente aveva fiducia negli errori. E anche Evgenji Rejn che va bene, non sapete chi è, ma a lui si devono versi importantissimi che se uno se li tiene tipo post-it male non fa. Insomma, marzo almeno è universalmente riconosciuto come pazzo. Aprile è incerto. Dio.
Ma vediamo insieme il perché.
Cominciamo dalla cara Sylvia a cui voglio tanto bene e che mi fa sempre tanta paura perché prima di mettere la testa in un forno a gas, compita scrisse un’ultima poesia intitolata “Orlo” e preparò pane e burro + due tazze di latte da lasciare sul comodino nella camera dei bambini. La poesia in cui parla male del mese di aprile si chiama “Zitella” ed è particolarmente indicata nei casi di delusione sentimentale seguiti da quella rottura di cazzo invereconda alla sola idea di conoscere altra gente e rifare la stessa trafila solo perché la stagione dell’amore viene e va. Fa così:
E così questa particolare ragazza
in una cerimoniosa passeggiata d’aprile
col suo più recente pretendente
si trovò all’improvviso oltremodo sconvolta
dalla sfrenata babele degli uccelli
da quel mare di foglie.
in preda a questo tumulto, osservava
i gesti del suo innamorato che sbilanciavano l’aria
e il proprio passo vagante ineguale
in quel solitario rigoglio di felci e fiori.
giudicava i petali in scompiglio
e la stagione in generale, sciatta.
come desiderò allora l’inverno!-
scrupolosamente austero nel suo ordine
di bianco e nero
ghiaccio e rocce e ogni senso nei suoi limiti
e la gelida disciplina nel cuore
esatta come fiocco di neve.
ma ecco un germogliare anormale
abbastanza da mettere in scompiglio le sue cinque regali facoltà
un tradimento da non tollerare. si impazziscano pure
gli idioti nel manicomio primavera:
lei se ne tirò subito fuori.
e mise tutt’intorno alla sua casa
tale una barricata di spine e impedimenti
contro quella stagione sediziosa
che nessun uomo all’assalto potè sperare di infrangere
per anatemi, pugni o terrore
e nemmeno per amore.
Se invece siete lapidari e la solfa di Aprile, mese in cui anche Nanni Moretti ha creduto, vi annoia al punto che vi fareste un tatuaggio per ricordarvelo l’anno prossimo e non dargli il minimo credito – una volta a me è successo, ma perché avevo ascoltato l’oroscopo di Paolo Fox che diceva chiaramente “chiuditi in casa” – il vostro poeta di riferimento non può che essere il dolce Thomas Stearns Eliot, uno così caro e posato da aver chiaramente detto che i tormenti d’amore sono una “palla che rotola” ed esser rimasto poeta comunque.
Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia della primavera.
L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse
Con immemore neve la terra, nutrì
Con secchi tuberi una vita misera.
L’estate ci sorprese, giungendo sullo Starnbergersee
Con uno scroscio di pioggia
A livello di pace mentale, invece, fate pure affidamento su Sandro Penna che, molto più lapalissiano, decreta “Sotto il cielo di aprile la mia pace è incerta”, o su Andrea Zanzotto che sembra aver superato la cosa ma, lo sapete, si supera una cosa quando non se ne parla più più più, per cui “Non ho più odio per l’aprile per gli aprili lontani” è tutto un dire.
Gianni Rodari, invece, vi è d’aiuto e di monito nella gestione casalinga perché consiglia caldamente di non fare il cambio di stagione con “Aprile tosatore porta la lana al vecchio pastore, spoglia la pecora e l’agnello per farti un berretto ed un mantello” . Immaginate vostra mamma che vi chiede se avete poi tolto il piumone e i maglioni di mezzo e voi che rispondete: “Mamma, c’è tutta una letteratura in merito! Leggi, ogni tanto!”. Suona meglio di “Sai mamma, la verità è che io non ho mai tolto di mezzo nulla da tre anni e nel mio armadio ci sono tutte e quattro le stagioni di Vivaldi, se cerchi bene pure qualche cadavere della banda che le suonava”.
Chiudiamo, infine, con il mio preferito – ho un preferito, sì – e si tratta di Evgénij Rejn, poeta russo, classe 1935 che ha dovuto aspettare il 1984 per vedere pubblicato un suo libro in patria e merita, dunque, il Premio Pazienza del mese. Oggi insegna – all’istituto letterario Gór’kij – ed fa anche parte dell’Unione degli scrittori che, sarà perché è un fatto russo, ma mi ispira più fiducia di qualsiasi circoletto italiano del cazzo. Comunque, la sua poesia fa così e risolve ogni questione, anche la questione cardinale della primavera come scriveva Majakovskij.
Tiriamo fuori camicie, cotton wear e altre minuzie vestiarie.
Al rombo delle auto fragorose, apriamo le finestre.
Ventiquattro gradi Celsius. Dunque, che fare?
È sempre una sorpresa.
Forse che, staccando dal gancetto il pellicciotto, t’ aspettavi questo volgere del sole?
Sapevi, forse, che saresti vissuto fino a questo strepito e chiasso?
E comunque si ha lo stesso voglia,
di mattina, di uscire vestiti leggeri e di azzurro,
e camminare fino al metrò: solo là c’è protezione.
Chi ha visto il cambio di stagione, dirà: “Sia pure”.
(Non è meravigliosa?)
Comunque, adesso che abbiamo tutto chiaro e tanta letteratura a farci le spalle forti, mi preme una specifica: anche io sono una vittima di questo mese atroce che mo che finisce stappo lo spumante e chiamo la paranza della Madonna dell’Arco. Ho comprato camicette rosa da Mango e quattro paia di calze 15 denari e poi mi sono puzzata di freddo, per capirci. Ho creduto che la serenità avesse una sua vita autonoma dentro la mia testa al punto da dimenticare come si fa a non farla andare in confusione togliendole spazi, desideri e speranze, magari confrontandoti con un mondo a cui non fa mica piacere sapere che lo consideri leggermente stronzo. E, infine, ho ordinato birre chiare corrette al Southern Comfort come se fosse luglio e mancassero due settimane alle ferie.
E lo sguardo di Gennaro il barista, ecco, solo adesso mi risulta comprensibile, diceva: ragazza, tu hai mai letto T.S. Eliot?
Cioè, forse Gennaro diceva più qualcosa del tipo: ragazza, non abbiamo ancora messo a fare il ghiaccio in maniera seria in modo da annacquare tutti le birre del mondo e risparmiare, ma fa sempre scena pensare che io viva in Friends e che i baristi siano tizi onnicomprensivi che possiedono le chiavi del mondo e non solo quelle del bagno al cui specchio rifarsi il trucco dopo il secondo giro, no?