Tagamore

La pazienza che ci vuole a mangiare ciliegie

Finisce Giugno.

Ecco i pensieri belli del mese con una canzone, una ciascuno, ad accompagnarli:

1) Farsi mettere in ordine il cuore e i pensieri. Voi ce l’avete la persona che ci riesce sempre? Io sì. Ma non ne confesserò l’identità qui e ora: è tipo la x del tesoro sopra la mappa di una città nuova. Non devo spiegare niente, a questa persona, non devo tradurmi, non c’è il rischio del lost in translation. Posso aspettare questa persona, perché so che la fatica dell’attesa è normale, giusta, colmata già nel momento in cui comincia. La canzone per lei è questa, e anche a Milano può arrivare l’odore del mare a prendermi.

2) Ci sono molti impegni nuovi che ho preso. La maggior parte sono impegni con me stessa e sono belli assai, ogni volta che ne disattendo uno lo sento tuzzuliarmi sulla spalla, piano, come un bambino. E ai bambini è difficile dire no anche se I’m the only one who laughs.

3) Non so perché ma la fine di questo mese mi piace più del mese stesso, in cui discrete volte (discrete nel senso di silenziose) non mi sono sentita granché. Poi ci sono giorni come oggi in cui nonostante il mal di testa feroce del caldo, un piano di scrittura seminazi, referendum solo miei in cui oltre al “Leave” o “Remain” c’è il salvifico “non sa/non risponde” a tentarmi assai, succede che mi sento forte di non so manco che cosa, e la mia vita mi sembra all safe and all rescued, from the slowly sinking ship.

Succede che cammino per strada e sorrido ad una scritta sul muro.
Succede che inciampo e capisco che l’equilibrio io ce l’ho nelle dita, non nei piedi.
Succede che sbaglio, perché sbagliamo tutti e che i miei sbagli alle volte si allargano come cerchi sull’acqua.
Succede che prego un po’ – ho detto un po’-  che la ragazza che sono stata si sieda al posto mio nella memoria delle persone che non ho accanto in questo momento, e dica loro quello che io non dico più perché magari aspettavo di sentire la risposta ma poi le cose si sono messe di traverso e non c’è più stato tempo per l’una e per l’altra.

I know she’s leaving, leaving, on that midnight train to Georgia

 

Succede che guardo il bancariello di un fruttivendolo e penso: che bello che esistono le ciliegie! E mi sorprende questa cosa, perché a me le ciliegie sono sempre piaciute un botto ma mi annoiavo assai a mangiarle: una ciliegia non è una mela che puoi morderla, non è una pesca noce che sembra fatta apposta per starti in una mano. Per le ciliegie ci vuole capacità di scarto che se mangi i noccioli poi ti viene mal di pancia. Per le ciliegie ci vuole attenzione. Per le ciliegie ci vuole pazienza.

 

Credevo di non averne più, anzi, credevo fosse una specie di condanna, pazientare. Poi ne ho comprato mezzo chilo. Lo finisco in questo momento, mentre scrivo l’ultima parola di questo post, una parola bella, tanto.
È estate e prima che il vento si porti via tutto, respira questa libertà.

(ps: sì, è una cover e mi pare pure meglio dell’originale)

Guida pratica ad una storia qualunque

Sto scrivendo e quando scrivo divento una specie di tigre con le turbe dell’umore. Alcuni dicono che lo sono sempre comunque: se sono amici la prendo bene, se non lo sono li sbrano giusto per confermare la loro impressione, sia mai che li lasci con un interrogativo.

Comunque, è da qualche settimana che pensavo ad un fatto e cioè alla gamma di sentimenti che si lasciano alle persone davanti alla fine di una storia o di un’amicizia. Ci sono arrivata perché come capita a tutti anche a me è successo, certo, ma soprattutto perché ho letto due articoli – questo e questo  per completezza di informazione – che mi hanno fatto incazzare molto. E quando mi incazzo per un articolo, ecco, la tigre di cui sopra mi fa un baffo.

Gli articoli non parlano di grandi storie d’amore o di amicizie decennali ma della loro forma liquida, ovvero le “non-relazioni”.
E, cito, una di quelle cose che:

“non vengono mai definite (un vero enigma, lo so), che non possono essere “impacchettate” con cura e non sono mai descritte in maniera adeguata alle feste. (Ti presento X, questa settimana mi piace lui)”

In realtà a quello che vedo io le definiamo benissimo: parliamo sempre di “amico” o “amica” senza sputarci in faccia da soli per aver usato una parola che significa tutt’altro per una storia in cui, per la maggior parte del tempo, l’amico/amica in questione ci riduce a mucchietti di dubbi che si dondolano da un piede all’altro ascoltando canzoni tristerrime. Il tutto è segnato poi con il marchio rosso evidentissimo della friendzone, ovvero quella cosa in cui non sai e non vuoi sapere ma lei/lui ti piace, ci esci, fate sicuramente cose che gli amici alla maniera di Huckleberry Finn e Tom Sawyer non avrebbero mai preso in considerazione neppure lontanamente ma non lo dite chiaramente manco a voi stessi perché:

a) avete prove più o meno evidenti che l’altro non è nel vostro stesso mood e temete si spaventi e vi lasci anche se non siete mai stati insieme;

b) l’altro vi ha chiarito che non ha nessuna idea di relazione seria ma gli va tanto di continuare a scopare ridendo;

Cos’è questa, la ricetta per la felicità in virtù del “non prendiamo impegni, la vita è bella perché è varia, ‘e pummarole aumentano e ‘o ciuccio se stanca ‘ncopp’a sagliuta”? No, amico/amica: è la ricetta per l’esaurimento nervoso.

Digli ciao perché ti farà compagnia per un po’ mentre si prepara a diventare il tuo nuovo “amico/amica”, stavolta instaurando con te quel rapporto di amore/odio a cui tanto anelavi e su cui si regge l’equilibrio del mondo. Il resto, infatti, comprese quelle belle bugie che finiamo a dirci da soli quando dichiariamo che nemmeno noi sappiamo bene come andranno le cose e che in fondo che fretta abbiamo, è materiale da filosofia che – mi spiace dirlo – non è applicabile alla vita pratica.

La calma non è solo la virtù di chi non è coinvolto ma quella di chi non gliene fotte molto. E a voi invece frega, se siete arrivati a leggere fin qui. Vi lascio una citazione colta in merito, così potete utilizzarla:

La calma è una vigliaccheria dell’anima.
Tolstoj

Comunque, veniamo al sodo: uno degli articoli che ho condiviso (linkare, che brutto verbo) è una specie di guida su come sostenere questo tipo di cose. Se vi interessa o siete voi l’altro che non sa/non risponde può esservi d’aiuto. Anche perché io sono qui per l’altra faccia della medaglia, ovvero, consigliarvi di smettere di sostenere cose del genere.

Perché? Perché magari una storia del genere vi piace e vi diverte e non avete fretta, certo, ma mentre voi procedete senza farvi troppe domande, succede una cosa, sempre: smettete di sperare di essere sorpresi. E smettere di sperare di essere sorpresi è un fatto brutto a ottant’anni, figuriamoci se ne avete di meno. Il cinismo nell’ambito delle relazioni è una specie di lunga giacca nera: sta bene su tutto, ma poi non lamentatevi se qualcuno vi crede appena usciti da una veglia funebre.

 

Come prima cosa, bisognerebbe parlare all’altro coinvolto nella storia, almeno per assicurarsi lo sia davvero. Magari vi trovate davanti ad uno che mentre voi parlate di sentimenti vi guarda come a dire “ma tu ‘o vero staje facenn?” (e cioè, traduzione per i residenti fuori regione Campania: “ma dici sul serio?”).

Per pietà, per pietà signori e signorine e signore: se dall’altra parte avete uno che non vi getta le braccia al collo con gioia dicendovi “ma sì, ho fatto tante cazzate nella mia vita, proviamo a fare anche questa che tra di noi ci si diverte comunque”, cercate di volervi bene almeno voi e prendete la porta. Siete già soli, tanto vale che lo siate davvero. Perché, ricordate: è meglio aver amato e aver perso che passare un paio d’anni in un film di David Lynch.

Nei film di David Lynch, infatti, ogni cosa vuol dire sempre un’altra cosa e quell’altra cosa è una cosa a cui avreste dovuto fare caso da subito ma non l’avete fatto perché c’era un’altra cosa che credevate volesse dire un’altra cosa e invece no. Perché comunque, vi sia chiaro:

NO HAY BANDA.

(e questo è il video esplicativo della vostra vita sentimentale)

Mi rendo conto che un vero manuale per la dismissione di cose del genere dovrebbe tenere conto anche dell’online (signore mio, grazie per avermi evitato un’adolescenza con facebook, grazie), ma daremo vita ad una discussione infinita e devo tornare a scrivere. Personalmente però ci tengo a dire che considero i social network come un racconto autobiografico molto indulgente: sicuramente c’è del vero sui nostri profili, ma state pur certi che le cose veramente importanti – quelle che ci fanno stare male, ad esempio – non le troverete mai.

Per questo se alle persone che realmente hanno fatto parte della nostra vita ad un certo punto basta la rappresentazione facile del virtuale (una volta avremmo usato la locuzione “ad usum delphini” che indicava i libri scelti  dal Re Luigi XIV  per l’erede al trono in cui i passaggi ritenuti più scabrosi o comunque inadatti alla giovane età venivano tagliati) per sapere come stiamo e cosa facciamo, beh, come dire: facciamocela bastare anche noi.

L’altro giorno condividevo sulla mia pagina la frase qui sotto.

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È una bella frase, non c’è che dire. Ci ho creduto per tanto tempo e per certi versi ci credo ancora. L’amore si può basare su un’assenza o su un’attesa, eccome: la religione, qualunque religione, è la prova che si può amare tantissimo e per secoli qualcuno che non c’è e che magari non si degna manco di farci una telefonata, ma che ringraziamo ogni volta che ci capita qualcosa di buono e a cui chiediamo consiglio ogni volta ci succede qualcosa di male. Però. Però sono anche sicura che una relazione è una cosa diversa. A meno che non stiate uscendo con il Messia. 

Se state uscendo con il Messia e avete una relazione, anzi, una non-relazione con lui, allora perdonate queste mie affermazioni ironiche: sono certa che aspettare il giorno del giudizio per capire cosa sta succedendo tra di voi sia la scelta migliore.

Primavera, amici e amori pret à porter

Bisognerebbe cominciare
da un punto qualsiasi a valutare
l’idea di amici amori pret à porter
AAA, comprensioni a progetto offresi
per la privamera duemila e sedici
chiama per raccontarmi la tua vita
per dirmi che ti dispiace
o per fare finta di niente
preferibilmente ore pasti

Caffé è la parola giusta
non compromette
lascia, pago io
lascia, non importa
metti da parte storie sfasciate come scarpe
usatissime e ancora belle
che la gente aveva tutta la uallera
ma solo quando stava con te

Amicizie come cappotti negli armadi
riponimi da un canto quando non hai più bisogno (di sciarpe, di abbracci, di carezze)
è primavera: nei negozi cerca
magliette, camicie, canotte,
prezzi stracciati
poca cura, poche responsabilità

Meteorologica è l’unica vera coscienza
che abbiamo di noi, al solito
e non c’è niente
niente di più pericoloso
che affondare il disincanto nel silenzio della primavera
che non bussa mai, piccola maleducata