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L’amore e la violenza. E i Baustelle che sono tornati.

 

IL NUOVO ALBUM DEI BAUSTELLE È UNA CAREZZA.
E DICE «NON AVER PAURA, NON PIANGERE MAI».

Assafà a Maronn! 

Premessa all’ascolto

Ero convinta di aver voluto molto, molto bene ai Baustelle. E di non volergliene più. Ero certa d’aver pensato di Bianconi come di un poeta. E di volermi prendere a schiaffetti – quelli da risveglio post sbronza – per aver creduto una cosa del genere. Ero sicura d’esser stata giovane universitaria ragazza precaria squattrinata dal portafogli sentimentale messo peggio delle Borse venerdì 29 ottobre 1929. E di aver superato con lode tutti gli esami tardoadolescenziali fino a prendermi una Laurea. In Distacchi, cattedra del Lasciare Andare, Università del Diventare una Persona Seria & Pratica.

La produzione dei Baustelle dopo il 2008 aveva per me la valenza di un solitario brufoletto acneico, quello che ti ritrovi sulla faccia una mattina che c’hai roba importante da fare e ormai sai anche che è meglio far finta di niente piuttosto che provare a schiacciarlo, tanto non risolverai granché a parte mandarti in fuoco una guancia.

Non che i Baui avessero completamente cannato la poetica, eh. Ma dopo “Amen” avevano fatto due album di inediti che mi faceva assai male ascoltare. Mettere su “I Mistici dell’Occidente” significava, ad esempio, arrivare a “Le Rane” e ogni volta ritornare su un luogo del delitto chiamato “rapporto con il tempo che fugge ma il segno del tempo rimane” e tutti quelli a cui avrei voluto chiedere:

«che fine hai fatto, ti sei sistemato, che prezzo hai pagato, che effetto ti fa, vivi ancora in provincia, ci pensi ogni tanto alle rane?».

Finivo sempre a piangere nel cesso come da testo della canzone, ma senza aver incrociato nessuno al bancone del bar mentre beveva un amaro. Magari lo bevevo io per riprendermi. Finivo sempre a tentare di replicare – per ore –  il tono da rigoroso prete di campagna che fa di Bianconi Bianconi quando canta: «la crudele pesca delle rane in uno stagno usato per l’irrigazione, io e te, fratello mio». Con “Fantasma” andò meglio, ma solo perché ormai avevo capito, ci avevo fatto il callo, cosa pericolosissima: non mi sorprese per niente, anzi. Lo ascoltai, apprezzai poca roba di cui ho scritto ampiamente qui, a distanza di tempo rivalutai solo “La Natura” che secondo me ha un testo bellissimo, riconobbi ai Baustelle la capacità di tenere insieme temi economici, democrazia ed emancipazione sessuale in 3 minuti e 52 di canzone. E basta. Qualche tempo arrivai a riconsiderare l’intera faccenda amorosa tra me e il gruppo da Montepulciano, provincia di Siena, e ammisi a me stessa che il riff de La guerra è finita, anno di grazia 2005, era troppo simile al riff di The First of the gang to die di Morrissey, anno 2004,  e con tutto il bene che voglio ai Baui, come dire: Steven Patrick è Steven Patrick, unico uomo per cui potrei smettere di mangiare la carne.

In pratica, anche se io e Bianconi non ci siamo mai parlati e non ci siamo mai conosciuti e il massimo del contatto è stato visivo ad uno dei vari concerti (mettete il mio nome tra i fan, i baustellisti veri, seri) nei suoi riguardi mi sentivo come se fossimo stati insieme. E mi avesse lasciato di malo modo con una serie di paranoie e frasette crudeli una bella mattina e senza spiegarmi un cazzo. In pratica, Bianconi era un mio ex: l’avrei incolpato anche della Guerra Fredda. 

Ma come tutti gli ex grandi amori, eccolo di ritorno.
Perché i Baustelle, signori, sono tornati.
Perché Bianconi vuole dirmi che posso tornare a credere in lui. 

 L’ascolto

Il grande dono di grazia e forza che ha “L’amore e la violenza” è che è il primo da 9 anni che non ti faccia rimpiangere il passato, anzi, che ti dica che il passato è passato, andato, finito, grazie a Dio o a chi per lui.
E non c’è da temere per il futuro. 

Questa è un’importante svolta tematica per cui bisognerebbe stappare lo spumante! I Baustelle, anche nella loro versione migliore, hanno sempre cantato l’esser infastiditi dal tempo andato e terrorizzati da quello tutto da venire e adesso non lo sono più (e non lo siamo manco noi che li ascoltiamo da 16 anni).

Mentre ascoltavo “L’amore e la violenza” mi sono sentita come una a cui viene chiesto scusa in 320 modi portati in dote dalla sintassi italiana. Mentre ascoltavo “L’amore e la violenza” mi sono sentita come una a cui vien chiesto non solo di ricominciare, ma di farlo senza pensare al passato, tutelarsi con l’esperienza, le cose che pur non volendo sapere sa. Mentre ascoltavo “L’amore e la violenza” ho sentito la carezza di Bianconi uso papa, The Young Pope, dirmi «non aver paura, non piangere mai, lascia consumare il presente» . 

Le tracce migliori secondo la sottoscritta*
*(questa è una citazione colta per intenditori)

Sono almeno 8 su 12. Nel senso che ho fatto la schizzinosa, un ruolo che rivendico in quanto ci sono rimasta già male troppe volte e Bianconi chansonnier e poeta deve farsi sempre perdonare per il Bianconi scrittore (Dio!).

1) Per prima, in ordine di track, c’è “Il vangelo di Giovanni”, 4 minuti tondi tondi in cui Bianconi e Rachele cantano: «Io non ho più voglia di ascoltare questa musica leggera» e ancora «Smettere per sempre di fumare, imparare il sesso nell’amore, l’idiozia di questi anni, il vangelo di Giovanni, la mia vera identità». Insomma, pare che i Baustelle abbiano visto la lista dei miei buoni propositi 2017. 

2) Io non so se parlare di capolavoro per “Amanda Lear”, primo singolo, però lo devo dire: è la prima canzone sul tema ex che mi sia piaciuta davvero davvero davvero da anni. Anni. Ha dentro una cosa che ho sempre pensato: che quando ci si lascia, l’uno diventa il mandante morale delle cazzate fatte dall’altro nel riprendersi. Ne è responsabile, insomma, nel bene e nel male. È la canzone che vorrei mi avessero dedicato o che avrei dedicato, non lo so. Il solo fatto che esista Bianconi a centro scena come nel prepararsi per un duello, il solo fatto che canti: «Amore antico, amica mia» mi basta.

(smettere di scrivere di “Amanda Lear” è la cosa più difficile
che io abbia fatto in questo inizio 2017. Ascoltatela.)

3) “Betty”. Betty è il ritornello con cui mi sono svegliata stamattina. E l’ho ascoltata ieri sera per la prima volta. Se volete sapere qualcosa delle ragazze che sfidano «il buio come una fine di galleria», sta qui dentro.

4) Ad avermi aperto il cuore a quattro parti, però, è stata “Eurofestival” che considero una nuova “Il liberismo ha i giorni contati”. Non so se il riferimento ci sia davvero o sia stata io ad ampliarlo, ma mi ha ricordato gli Abba di “Waterloo”, canzone con cui vinsero, per l’appunto, l’Eurovision Song Contest 1974 e che nel 2005 fu decretata la migliore canzone partecipante alla competizione canora europea. L’Europa, c’è da dirlo, è un tema importante di questo album, moltissimo: c’è dentro la paura degli attentati, i migranti, i cambiamenti e un’infinita speranza. C’è Rachele che canta, nei primi 48 secondi: «Dalla Turchia all’Albania posti di blocco, posti di polizia, la guerra avanza, ragazzo mio ci vuol pazienza» e Bianconi che in un panorama di «bravi registi, preti e Lacryma Christi in abbondanza» urla: «via, portatemi via, buttatemi fuori dal Festival».  Non riesco a smettere di ascoltarla. 

5) Il bello con quest’album è che non devi preoccuparti di smettere di ascoltare una canzone, perché quella dopo è bella uguale anzi in maniera diversa. E dunque, potrei dire anzi lo dico che è bella “Basso e batteria”, è bella “La vita”, è bella anzi di più “Ragazzina”, un misto tra De André e Baglioni che dice: «guardi il mondo che ti sbuccia le ginocchia e ti fa sanguinare». Ma questo post – recensione è già troppo lungo così, quindi fidatevi di me. Che vado a chiudere e lo faccio con “L’era dell’acquario”. E la dichiaro mia canzone. Dalla paura per gli attentati a quella più strettamente personale per i propri rapporti con gli altri e con i sentimenti, per me è stato come avere un abbraccio da mio papà. E mio papà non c’è più, per dire.

“Torneremo a fare l’amore, vedrai
a guardarci dritto negli occhi
ci si abitua a tutto, al dolore, alle stagioni, alla storia, al calendario.
Non aver paura, non piangere mai,
lascia consumare il presente,
tutto sarà niente, il compiuto già passato nell’Era dell’Acquario”.

Ho un’altra piccolissima notazione da fare e poi chiudo: ascoltando l’album si sente che Bianconi è, come dire, cresciuto. Cioè, io ho sempre sperato che qualcuno lo rendesse felice. Non so se è accaduto, ma secondo me sì. E secondo me ha gli ha dato anche una buona mazzuliata sentimentale conseguente alla felicità. E che questo lo abbia portato a mettersi in discussione e uscirne meglio di come era partito. La mia era una sensazione, poi ho fatto ricerche e ho scoperto che è effettivamente così: «Sono andato a letto presto la sera, ho fatto un figlio, mi sono separato», ha detto. E dunque, Bianconi: io ti voglio bene. Ancora. Tanto. Lunedì 16 gennaio presentate l’album a Napoli e la prossima cosa che farò una volta finito di scrivere sarà togliere di mezzo un appuntamento preso senza pensare che avrei avuto voglia di vederti. E stringerti rispettosamente la mano. 

Un tempo ti avrei baciato in bocca.
Adesso, Francesco, siamo grandi.
Non è così male, no? 

Il nuovo dei Baustelle è un tir. Contromano
Guida all’ascolto di Fantasma senza riportare grosse ferite

Premessa all’ascolto

Ai Baustelle voglio bene. Ma bene serio. Roba che sono andata girando con “La moda del lento” nelle cuffie per anni. Roba che “La malavita” che cantavano era la mia. Roba che quando ero già lontana dall’adolescenza, sono andata a vedere il tour del “Sussidiario 2010”. Roba che “Amen” lo conosco a memoria. Roba che mentre giravo per “Inutili Fuochi”, John Vignola, che avevo conosciuto due ore prima, mi disse, ok, te ti piacciono, e molto, i Baustelle, vero?

La verità è che dopo “Amen” avevo i miei seri dubbi e i “Mistici dell’occidente” non è stato un album molto amato dalla sottoscritta (non volendo ho fatto anche una citazione per cultori, ma va bene) così su questo nuovo avevo pochissime aspettative, che a deludermi quest’anno ci penserà già “Il grande Gatsby” al cinema e quindi non è proprio il caso di incasare la mano.

Il primo singolo

“La morte (non esiste più)”, mi aveva fatto seriamente chiedere se Bianconi fosse impazzito e l’album dedicato ad una dimensione altra perché ci avrei trovato un bel po’ di spiritelli della compianta Amy Winehouse (qui e qui, a confronto, i due singoli). Il video mi aveva tolto dubbi sulla loro conoscenza di Dario Argento: per darvi un’idea di come colori e atmosfere si somiglino, qui il trailer di “Profondo rosso” (c’è da dire che la regia è di Cosimo Alemà, che è bravo, a quanto ho visto gli piace Fellini e il genere horror tanto che c’è un vampiro anche in un suo video di una hit di Tiziano Ferro). Insomma, che abbiano visto “Picnick at Hanging Rock”, e probabilmente anche “American Horror story”, loro o chi per loro ha curato il packaging, mi pare chiaro. Che Bianconi possa arrecarmi un dolore, anche: l’aveva anche già fatto con quel libretto del regno animale che guardate, non voglio manco parlarne, preferisco, davvero, però Francé: la prossima volta trovati almeno un editor che non ti cambi il nome di un personaggio a metà libro, e basta scene di sesso nei bagni per pietà del Signore, fallo nei boschi, in un rettilario, in fila mentre aspetti il turno alla Coop, ma nei bagni no, è stato detto tutto del sesso nei bagni, farebbero più scalpore due che si rinchiudono nei cessi perché lei ha mal di pancia e lui deve tenerle la porta, seriamente.

Poi niente, poi è venuto venerdì sera. Bianconi riprenditi, siamo ancora qui.

Venerdì sera

Niente, venerdì sera io non ho trovato di meglio da fare che ascoltare il nuovo dei Baui mentre mettevo in valigia all’incirca tre anni di cose, scoprendo clamorosamente di non avere valigie a sufficienza per tutti e tre gli anni.

L’album è decisamente poco adatto se vi sentite vulnerabili: cioè, se state sotto per qualcosa, ecco, Fantasma è tipo tir. Contromano. Con a bordo diverse versioni di voi stessi che vi fanno ciaociao con la manina dicendovi qualcosa, qualcosa che non siete sicuri di aver capito, qualcosa di appena mormorato, che bisogna afferrare, qualcosa che suona tipo: ‘A stronzo!  Non dico niente che Bianconi non abbia ammesso già di suo, in qualche modo. Ok, non proprio in questi termini però ha dichiarato a Rockit: “Sicuramente è un disco “grosso” (allarga le mani per farci capire, NdA), è stato pensato come una cosa che si ascolta benissimo dall’inizio alla fine, però non ci impuntiamo se uno si vuole ascoltare solo un brano…” qui il resto). Io, abbastanza corazzata sul fronte emotivo, facevo le valigie e arrivata a “Diorama”, uaaah, Francesco, posso utilizzare  la prima strofa su un bigliettino da visita? 

Io che non ho giorni da sprecare/ So i dolci posti dove andare/ Andrò al parco a farmi passeggiare un po’/ Che non ho cani a cui badare / e davvero poche necessità. Email: rrf@ecceteraeccetera

o anche

Al museo di storia naturale/ Vai a fare il giro delle sale/ Sai quel che conviene visitare/ Guai a non lasciarsi ipnotizzare/ Dai mondi lontani. Cell: +39 390 etc etc

Fuori piove e il tempo passa, ce ne accorgeremo poi. Via XY, civico 320

Altri pezzi belli, entrambi cantati da Rachele, sono “La natura” (Non m’importa di cercare leggi di stabilità/Tolgo la sicura, seguo la natura, forse arriverà/Un tempo dove la diversità amore mio sarà/ L’unico modo per mostrare a tutti la felicità) e “Monumentale” che devo dirlo, mantiene la promessa inclusa nel nome, è bella solida (Giace qui ad libitum la tua imbecillità/ Quindi lascia perdere i programmi/ coi talenti, i palinsesti/ per piacere non andare a navigare sulla rete/ stringi forte chi ti vuole bene/ tra le tombe del monumentale/ trovi Dio, trovi Montale, ed un’opaca infinità) anche se la rima camposanti/rimpianti e cimiteri/pensieri no, per favore no, capisco il lavoro da marcetta mozartiana (che cari miei, avevate già utilizzato per “L’ultima notte felice del mondo”, ma facciamo finta di niente) ma no. 

Insomma, avessi smesso di ascoltare qui avrei detto, beh, i Baustelle un tempo cantavano di quanto è bello sfracassarsi contro un muro con una certa poesia (cos’era se non questo “Io e te nell’appartamento”) poi sono passati a quanto è bello sfracassarsi con stile, e infine al rendersi conto che sono stanchi e cresciutelli sia per lo stile che per la poesia, e cosa più importante, se possibile, si sono sfracassati e non è stato terribile come credevano. Avrei anche detto: dovrebbero smetterla di ascoltare De André mentre scrivono i testi e le musiche delle nuove canzoni che si sente tale e quale. E basta canzoni sugli ex, per pietà. Però non ho smesso di ascoltare qui, anzi, e mi sono trovata a metter gli ultimi vestiti nel trolley sull’ultima canzone dell’album, “Radioattività”. 

Dunque.

Dichiaro me stessa e questi ultimi mesi figli di questa canzone nata assieme a loro.

Bianconi, non è che non ti voglio bene, è che vorrei vederti felice. La foto che correda questo post ti è stata scattata alla Fiera del Libro di non so quale anno, tu portavi calzini arancioni, e uno che si mette calzini arancioni deve avere una qualche risorsa ottimistica, ne sono certa.

No, non puoi scrivere un altro libro. No, su questo non sono disposta a scendere a patti.


Radioattività

Piove
sugli orizzonti sfocati
sui nostri tempi deviati
gocce di pioggia di Londra
viste dal basso, dall’ombra
sembra che il mondo le implori
sembra non cessino più
sembra una fine

Neve
che imbobilizza i polmoni
che cristalizza pulsioni
neve del cielo di Mosca
non guarda in faccia nessuno
pare che il mondo l’adori
mondo che non prega più

Bisogna avere fede
navigare nello spazio siderale
presuppore l’aldilà
che siamo troppo avvezzi a stare male
a proteggerci dal sole
dalla radioattività

Giorni
in cui sembravi perduto
ed evocavi il passato
giorni che telefonavi
e mi lasciavi da sola
a brancolare nel buio
e dubitavi di me

Bisogna avere fede
navigare nello spazio siderale
superare l’aldilà
che siamo troppo avvezzi a stare male
a proteggerci dal sole
dalla radioattività

di stanchi simboli
di troppo tempo fa
oggi cambio pagina
chi vuole andare va

Bisogna avere fede
esplorare ogni spazio siderale
abolire l’aldilà
così ti stringo forte, grido amore
cerco il bene nell’orrore
e l’eterno nell’età.