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Pollyanna era una potenziale serial killer

Quando parlavo di letteratura consolatoria, non intendevo mica dire che non mi piace. Mi piace eccome, anzi. Alle volte la trovo più edificante di certi allegrissimi libri che procurano poi vari problemi nella gestione della vita e delle sue incognite. Non che i libri debbano per forza insegnare qualcosa, eh, ma almeno potrebbero non complicarci le cose.
Un esempio: Pollyanna, classico della letteratura per bambini. Il romanzo, scritto da Eleanor H. Porter, ha visto la pubblicazione nel 1913 e da allora è stato edito molte e molte altre volte dando dignità e spessore a quell’approccio all’esistenza noto come ottimismo. Io preferisco, al momento, definirlo turba psichica. Vediamo il perché. 

Dunque, per prima cosa, Pollyanna è un’orfana. Ma non un’orfana normale tipo l’Oliver Twist di Dickens o il caro Remì di Senza Famiglia di Malot. No: Pollyanna ha una cosa che la rende speciale: ride sempre. Il padre le ha lasciato in dote una particolare attitudine, quella di cercare e trovare del bene anche nella schifezza più recondita.  Quando si trova ad avere a che fare con gente di merda tipo la zia Polly che è una tizia sola, acida e piena di soldi o con la vecchia ipocondriaca di nome Snow e, ancora, con lo scapolone con una gamba rotta di nome Pendleton che da giovane  – quando aveva ancora le gambe funzionanti, insomma – si trombava la zia, la nostra dolce piccola tenera bimba parte con le allucinazioni a sfondo mistico che manco Bernadette Soubirous e riesce a vedere del buono in loro. Per farlo non ha bisogno di ricorrere a droghe come si presuppone facesse l’Alice di Carroll, e nemmeno quel caso macroscopico di amore non corrisposto che è la religione cattolica le è  necessario: a lei basta fare il “gioco della felicità“. Il gioco è semplicissimo e consiste essenzialmente nel prendersi per culo da sola.  Del tipo: la zia, per punirla di non mi ricordo quale fatto, la manda a mangiare in cucina con i domestici e lei, invece di mortificarsi e avere problemi di autostima a vita, è tutta felice e contenta e si spugna nel latte questo pezzo di pane tosto come la morte assieme alla cameriera Nancy che manco è un campione di simpatia. Poi ringrazia anche la zia. La zia pensa che Pollyanna sia scema. Eppure sia lei che la vecchia che lo scapolone, si lasciano conquistare da questa scemità. E diventano scemi pure loro. Che bello. Non sono mai riuscita a decidere se Pollyanna non avesse capito niente della vita o, al contrario, avesse capito proprio tutto e stesse solo cercando di far schiattare in corpo tutti gli abitanti del villaggio.

Avendo un’indole piuttosto solare e decisamente buona, per anni ho pensato che la piccola orfanella ottimista dovesse rappresentare un buon modello anche per me.  Mi ci ero rassegnata, più che altro: propinatami in diverse età prima sotto forma di cartone animato fininvest, poi come libro in un’edizione con in copertina una bambina bionda con caschetto perché l’immedesimazione fosse pressocché totale, e infine come film Disney in cui, ovviamente, la tizia non solo era bionda ma aveva anche i miei stessi dentini a coniglio (ce li ho avuti per un periodo brevissimo e manco a farlo apposta era proprio quel periodo), non sentivo di avere grandi alternative. E comunque, l’altra possibilità era Lady Oscar che proprio una bella fine non fa e comunque si porta appresso problemi d’identità sessuale che Callie di Middlesex di Eugenides al confronto è una persona risolta.

Il punto è questo. Pollyanna che con la sua dolcezza regala tenerezza e il cuore vi aprirà non è propriamente un buon esempio a meno che voi non vogliate un esaurimento nervoso. L’idea che tutti siano fondamentalmente brave persone non non so da dove le è uscita. Insomma, voi ve la immaginate Pollyanna che ride e fa i giochetti con la luce e i cristalli, e poi si chiude nella sua stanzetta e piange tutte le sue lacrime per la rabbia e la frustrazione? Io sì. Ve la immaginate Pollyanna che si rende infine conto che la gente le vuol bene solo fino a quando non rompe il cazzo? Ahà. E infine, ve la immagine Pollyanna che all’ennesima bastardata di una a caso delle persone con cui ha a che fare prende un’ascia dalla cucina e diventa il serial killer che noi tutti pensavamo che fosse dalla prima pagina? Decisamente. 

Io, personalmente, avrei fatto il tifo per lei.

Ma proviamo a fare un parallelismo con la vita, nella fattispecie la mia e prendiamo una a caso delle mie esperienze quotidiane. Tranquilli, non vi racconterò della gente di merda che conosco. Parliamo di treni. Mi ci vedete a salire su un treno con il biglietto già validato, rendermi conto che non parte mentre sono già in ritardo di mezz’ora, non ricevere alcuna informazione dal personale se non che non sanno manco loro qual è il problema, e infine scoprire che il problema è che “non si chiudono le porte”? Se vivete anche voi in Campania immagino di sì. Adesso, se io fossi stata Pollyanna avrei dovuto prendere uno di quei fottutissimi cristalli, portarlo dal capotreno che sicuramente si sarebbe rivelato una brava persona e fare il giochino delle luci che tutti conosciamo bene. Poi il capotreno brava persona sicuro ci avrebbe provato ma questa è un’altra storia. Ma non sono Pollyanna e se fossi andata dal capotreno il cristallo gliel’avrei conficcato nel cuore a mo’ di paletto di frassino di Buffy l’Ammazzavampiri, risolvendo anche il problema corteggiamento. Purtroppo poi mi avrebbero portato in carcere perchè i vampiri non sono formalmente riconosciuti anche se lavorano per una società che continua a succhiare tutti i miei soldi e nonostante il successo commerciale di Twilight.

La sottoscritta non Pollyanna ha preferito dunque attraversare e prendersi un altro treno che l’ha portata a destinazione giusto in tempo per una scaricata di acqua in cui, sono sicura, manco San Francesco avrebbe visto qualcosa di bello. Ora, fradicia e smadonnante vi lascio questo consiglio: fate lo stesso. Smettete di essere buoni, comprensivi, solari e ottimisti. E non perché ci sia qualcosa di male nell’essere buoni, comprensivi, solari e ottimisti ma perché seppure voi foste la reincarnazione di Pollyanna, di sicuro gli altri non sono delle brave persone. Almeno non tutti.

Prima però, cantate con me. 

Cinquanta sfumature di un colore qualsiasi basta che faccia pendant con la borsa

Chiariamoci subito: io, delle Cinquanta sfumature di grigio, rosso e nero, non ho letto che qualche pagina, e mi è bastato. Non c’entra niente l’etica, la perversione e la donna sottomessa: è che ogni volume costa 15 euro e sinceramente, non ho soldi da spendere per stronzate. Motivo per cui ho dato un occhio in libreria e poi sono finita nel reparto opposto, sezione psicologia, a cercarmi Donne che amano troppo della Norwood solo per assicurarmi che il negozio disponesse di veleno e antidoto, una cosa tipo feng-shui, ying e yang, ci siamo capiti. Ovviamente – diciamolo in coro – , a riprova del fatto che i miei gusti sono in netta controtendenza rispetto al mercato, motivo per cui di solito apprezzo le opere prime e misconosciute e schifo cordialmente le proposte commerciali vendute e vendutissime, le cinquanta sfumature di tutti questi colori tetri ma pulp hanno sbancato. Adesso, con tutto il bene: ma a voi, comprare un libro di cui avete sentito parlare non per la trama particolarmente avvincente o per lo stile narrativo, ma perché ha venduto un botto, non vi sa di saldi da Zara? A me sì. Infatti secondo me le cinquanta sfumature avrebbero fatturato ancora di più se ci fosse stata una borsa in allegato, va bene anche di plastica, così da avvicinarsi alle pratiche descritte all’interno, ma che faccia pendant con il titolo.

Potremmo dar vita ad un mercato splendido, pensateci: visto che il rapporto di Federconsumatori Campania dice che a Napoli quasi il 60% dei prodotti in commercio nei supermercati rientra nella categoria offerte, e contemporaneamente, al Vomero, la libreria Guida Merliani, chiusa mesi fa, riapre per la svendita fallimentare proponendo titoli al 70% di sconto (e vedendo più acquirenti di quelli visti nell’ultimo anno, suppongo) l’idea di metter assieme cibo per il corpo e cibo per la mente dovrebbe rappresentare la salvezza. Immaginate: proporre in vendita La notte del drive-in di Lansdale assieme a quarti d’arrosto. O anche: Gomorra con una bella cassetta di frutta e verdura certificata col marchio qualità (e secondo me fare una cosa del genere servirebbe anche a prendersela un poco di più per la cancellazione del registro dei tumori).

Comunque, tornando ad argomenti più frivoli, siccome delle Cinquanta sfumature di qualsiasi colore ricordi la collezione autunno-inverno appena passata, si è già parlato molto (e anche molto male) mi limiterò a dire poche cose:

1) La studentessa universitaria che si morde il labbro non è un’esemplare femminile dalla carica sessuale eccezionale, altrimenti qualsiasi sessione d’esame sarebbe un bordello;

2) La studentessa universitaria che non ha un indirizzo e-mail è un’utopia quasi quanto pensare che Renzi sia un giovane rivoluzionario che può ribaltare le sorti della sinistra italiana;

3) Il fatto che debba arrivare un dominatore per consentire alla studentessa universitaria l’accesso al web e il riconoscimento della sua vis erotica potrebbe avere altri parallelismi con la politica del nostro Paese, li lascio a voi;

Adesso, non preoccupatevi, non vi proporrò nessun saggio sulla questione femminile anche se non farebbe male e non dirò nemmeno che ammettere di avere delle perversioni oggi è uno status symbol più dell’i-phone (anche perché lo si spiega bene qui), o che l’emancipazione sessuale passa per i filtri di instagram e che ormai mettere un culo su facebook significa ciao guarda come sono spontanea. E no, non consiglierò nemmeno a Renzi di cambiare approccio.

Mi limiterò a consigliare un’alternativa letteraria, anche perché non c’è niente nelle cinquanta sfumature che ecciti più di un harmony temptation. La mia alternativa, dunque, è Almudena Grandes*. Tranquilli, non vi voglio dire di leggere o rileggere le Età di Lulù anche se, in quanto a sesso, tra bondage, transessuali e incesto non manca proprio niente, ma Atlante di geografia umana che fa al caso nostro per vari motivi: le protagoniste sono 4 donne che hanno superato i trent’anni, fanno un lavoro che è un poco una palla, hanno uomini poco attenti e, soprattutto, hanno scoperto di essere poco attente loro stesse. Tutte hanno una casella e-mail. Tutte fanno sesso. Le scene di sesso sono descritte in maniera non geometrica del tipo unisci A con B e poi muovi C fino al punto D. Si tratta di un romanzo verosimile, in cui c’è la donna sposata e con figli che chiama 35 volte il tizio con cui è stata una sola volta nella vita e che si è convinta di amare perché lui l’ha chiamata “amore mio”, ma siccome non risponde  allora lei si fa fare i tarocchi. C’è quella che ha una madre pazza (chi non ce l’ha) che fa all’amore davanti al frigorifero con un tizio che non lascerà mai la moglie. C’è quella bruttina che fa shopping compulsivo e poi si beve tutto il possibile nei bar dando un nome diverso dal suo, così poi nessuno la può rintracciare il giorno appresso e chiederle se si arrampica nuovamente sul lampadario. C’è quella che va dallo psichiatra perché il marito le mette le corna, invece di mandare lui dal medico. Ma, cosa importante: la loro storia non si riduce ad un uomo che dice: “Dentro ho cinquanta sfumature di tenebra” e questo perché nessun uomo, anzi, nessun essere umano cui non manchi qualche rotella, se ne esce con una frase del genere senza temere di ricevere un posacenere in testa.

Se potessi, allegherei un posacenere a questo post.

*grazie Mauro