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Girovago per il centro direzionale e per appararmi la giornata gioco alla turista in Nuova York ma c’è il cartellino della circumvesuviana, piove, non tengo l’ombrello, l’emmepitrè si rifiuta di collaborare, il c61 mi ha lasciato davanti al Palazzo di Giustizia, le ballerine nere mi stanno strette come una trappola cinese e soprattutto, soprattutto, devo starmi accorta a dove metto i piedi perchè le mattonelle del centro direzionale hanno vita a sè. Piove per mezza giornata e quelle s’affossano, come inghiottite dal fiume Sebeto. Tu vai per metterci sopra il piede e ti fai il bagno e la doccia e pure lo shampoo. Ergo: cammino come la signorina minù . Entrare nel palazzone non è di conforto perchè allora devo chiamare l’ascensore. E io non riesco mai a prendere l’ascensore in maniera consona e tranquilla perchè ogni qual volta entro in un qualsiasi palazzone e chiamo la cabina, mi viene in mente Vestito per Uccidere e inizio a voltarmi e girarmi in maniera ossessiva.

 

Tutto questo per dirvi che:

a) no, non c’era nessuno con la parrucca bionda nell’ascensore

b) anche per questo va leggermente meglio e ne darò conferma tra qualche tempo

c) ho schivato abilmente il call center

d) é uscito il nuovo numero di Best Before, giornalino (e io toglierei il diminutivo) fatto da precari per i precari. Le lavoratrici atipiche in questione sono due forze della natura, Benedetta e Silvia, con cui ho già sodalizzato appieno, costituendo un’inedito asse milano-bologna-napoli, che in questi giorni mi ha sollevato dalla melma della nullafacenza.

e) sul suddetto giornale, oltre a storie stra-ordinarie c’è anche un pezzo di Santa Precaria, che fra poco metterò on line. Frattanto chi vuole riceverne una copia, toccare con mano questa realtà non edulcorata e tragicomica, capire il punto di vista di chi ha un contratto che termina prima della scadenza dello yogurt, può abbracciare la causa mandandomi una semplice mail.

f) Eleonora de “La Repubblica degli Stagisti” mi ha fatto una piccola intervista. Al racconto delle mie peripezie mi pareva di vederla strabuzzare gli occhi, pure se stavamo a telefono. La ringrazio ancora per avermi chiesto due o tre volte come mai, con l’esperienza che bene o male ho, mi capita di lavorare a gratis. E’ stata una bella sveglia per la mia autostima professionale.

h) dulcis in fundo: questo blog è stato inserito nella lista dei siti utili in un nuovo portale che si pone l’obiettivo ambizioso di dare una mano a giovani e meno giovani nell’orientamento nel mondo del lavoro (più che mondo io direi giungla ferox) attraverso varie sezioni e rubriche (dai contratti di lavoro agli stipendi medi a tutto ciò che non bisogna scrivere in un curriculum). Grazie, dunque, a Davide Licordari dello staff di www.cv-lavoro.org . A lui e a tutti i ragazzi impegnati in questo progetto vanno i miei auguri e i miei pensieri (specialmente se penso a domani).

 

Figure Mitologiche 3, la Precaria

Premessa: Pierre Sorlin è tra i primi ad aver utilizzato i film come fonte storica.

Sto vedendo un film e sono sconvolta. Il film si chiama “Derailed”. Niente da dire. No, non vi svelerò la trama. Fittatevi il dividi. Volevo solo informarvi che in questo caso le precarie ci fanno la figura delle puttane rubasoldi che cito: “arrivano in ufficio in ritardo e qualche volta rispondono a telefono”. Andiamo bene, andiamo.

Alla ricerca del codice Iban

E così dopo 15 mesi di attesa e milleuno tentativi, quest’oggi ho saputo quando sarò pagata per il mio lavoro. La risposta è: mai. Avevo questa voce stridula dall’altro capo del telefono, tipo canarino Titti scortese ma con un accetto appena appena insulare. La voce mi diceva: lei non ha ricevuto alcun pagamento perchè siamo sprovvisti del suo codice Iban. La frase era ripetuta di continuo, in una sorta di cantilena, ma senza espressione:

Siamo sprovvisti del suo codice Iban. Iban. Iban.

Non riuscivo a reagire. Il suono melodico mi aveva ipnotizzato. Nella mia testa una sola, unica domanda: che sfaccimma è ‘sto codice Iban? Una volta risolto l’arcano, da brava comunicatrice ho cercato di entrare in contatto con Titti.

Raffa: “Mi ascolti, io non ho un codice Iban perchè non ho un conto corrente”.
Titti (leggermente perplessa e infastidita): “Deve aprire un conto corrente presso uno sportello bancario e comunicarmi il suo codice Iban”.
R: “Senta mi spiego meglio. Io non ho un conto corrente perchè non ho nulla da metterci. Sono 15 mesi che non mi pagate.
T (palesemente sconvolta): lei non ha ricevuto alcun pagamento perchè siamo sprovvisti del suo codice Iban.
R: Senta, ma non potreste farmi un assegno?
T (con la voce di Marnie durante la regressione infantile): L’assegno è una forma di pagamento che non usiamo. Un mese fa un nostro incaricato alla consegna degli assegni è stato derubato a Napoli (voce rotta dal pianto). Da due settimane l’unica forma di pagamento è un versamento sul conto cottente.
R: Allora avreste dovuto pagarmi due settimane fa.
T: Due settimane fa un nostro incaricato alla consegna degli assegni è stato derubato a Napoli.

Mi pareva di avere a che fare con quei programmi che simulano il linguaggio umano. Oppure ero a telefono con Anna, l’assistente elettronica dell’Ikea.