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Così vanno le cose, così devono andare
Il post leggero sul fatto che fa troppo caldo per lottare contro l’evidenza dei fatti

Un mio capo, uno dei tanti avuti nel corso della mia vita professionale, diceva: “Ciò che non avviene, non conviene”.
Di solito lo diceva dopo aver rotto il cazzo per ore, che dico, giorni, con una richiesta pressoché impossibile. Cioè: lo diceva quando, dopo averti dato blandamente dell’incapace, cercava di risolvere il problema da solo, finendo con l’accorgersi che manco lui era in grado di combinare qualcosa.  Adesso, non è che me ne voglio uscire, oggi, 6 di agosto, con un paragone tra un pazzo (e una redazione di pazzi) che smadonna perché tal dei tali ci ha annullato l’intervista, l’unica esterna è possibile alle 14 o alle 18 di un giorno in cui il cameraman comunque non ci sta, però quel giorno sta pure la superconferenza stampa da seguire, e comunque questo chi cazzo si crede di essere, e la vita, però. 

Però le evidenze non mancano. Io non so se ci si arrende alle cose che capitano o se, semplicemente, succede che le cose che capitano ad un certo punto non ti interessano più (è infatti da tenere nel giusto conto la possibilità che il mio ex capo non fosse un monaco buddista ma solo un uomo con poca pazienza) ma c’è da dire che frasi come “vabbé, che possiamo farci” o anche “passerà pure questa” non mi sembrano più sconvenienti (soprattutto se accompagnate da un Mojito). È una grande vittoria, non pensate! Io sono stata orgogliosamente capatosta, capace di mettersi a litigare su questioni di principio anche coi testimoni di Geova, per 29 anni della mia vita! E poi eccomi qui oggi, a dire al telefono che “Tesoro, ciò che non avviene, non conviene”. 

(Non è che vi sto consigliando di smettere di tenere a ciò che avete di più caro, se quello che avete di più caro è fonte di stress costante: è che non credo ci sia da ricamarci su più di tanto, da avere rimorsi o rimpianti, o dolori o amarezze, c’è troppo sole, fa troppo caldo e l’offerta di Mojitos nei bar è alle stelle. La nostalgia, per favore, tenetevela come un’amica da andare a trovare ogni tanto, quando non avete molto da fare,  e potete star a sentire le cose che vi dice senza drammoni: non è lei che può spiegarvi  perché le cose sono andate così, come dovevano, come potevano. Nel caso posso darvi il numero del mio ex capo, ma non ve lo consiglio). 

In ogni caso, come prontuario, per le cose che volevate dire e non avete detto, per le persone che poi magari ci sarebbero restate male, sempre se avessero capito,  per il mare che volevate vedere, i vestiti che volevate mettere, le canzoni preferite cantate per chi se ne è andato e che poi non si sono cantate più. Per le sicurezze di oggi, le tranquillità attuali, la forza, la fantasia (quella di non credere poi, che le persone restino sempre uguali. E che alcuni se ne vanno anche quando restano, che le cose ci sono e poi puff, ma spiegarlo è difficile e comunque, che importanza ha, basta guardarsi un secondo allo specchio, nel riflesso, per caso e sapere che è un trucco del tempo): quietami i pensieri e le mani, in questa veglia, pacificami il cuore, così vanno le cose, così devono andare.

“Che se siete onesta e bella,
la vostra onestà non dovrebbe aver commercio con la vostra bellezza” *

“Rosaria, la miss in fin di vita per le botte del fidanzato”
“La reginetta di bellezza massacrata dal fidanzato”
“La miss ridotta in fin di vita dal fidanzato”

Ecco a voi una selezione di titoli sulla storia di Rosaria, che in un Paese in cui si sta attenti davvero alla violenza di genere dovrebbero generare un minimo di vergogna perché il sottotesto che ne viene fuori è uno a scelta tra i seguenti:

1) Vedi, pure che sei bella e miss comunque le hai prese, se stavi a casa non succedeva;
2) O anche, ma come, anche le miss, ragazze belle ed emancipate, prendono calci? Non era una cosa riservata a quelle bruttine, stagionate e timidine? ;
3) Oppure, “anche i ricchi piangono”.

Prima la violenza, poi il moralismo, insomma.
Non è una coroncina al concorso di bellezza a compromettere la vita, bisognerebbe dirlo in un discorso serio, non è un bikini o un sorriso, ma l’idea che la coroncina, il bikini o il sorriso siano cose di cui vergognarsi, da accantonare, quando si matura, quando si diventa donne sul serio, e cioè consacrate ai doveri di madre, casa e famiglia. E non mi dite che i titoli dei giornali quelli sono, c’è poco spazio e poco tempo per dire. Per scrivere “Rosaria, la bellezza non salva”, opinione comunque discutibile, bastava solo un po’ di coerenza.

Altri titoli possibili e meno paraculi:
Rosaria, la bellezza attira l’attenzione, e tu sfilavi pure, su, voglio dire.
Rosaria, meglio la sobrietà.

Il mio sarebbe stato molto più semplice:
“Prende a calci la fidanzata, arrestato”.

 

*Amleto, Shakespeare.

Trent’anni e un giorno

Il giorno dei 30 anni bisogna immaginarlo 30 volte e ogni volta la scena deve essere diversa, cambiare posto e persone sullo sfondo, ci siete anche voi, ovvio, ma mai con lo stesso vestito, bisogna adattarlo alle mode del momento così come posto e persone devono rientrare su quei binari su cui passa la felicità del periodo, come un treno.

Poi il giorno dei 30 anni arriva. Io sono riuscita persino a staccarlo dagli altri complice un week-end di riposo da lavoro. Sono riuscita a dire, ecco che succede. Non succede niente, in realtà. Cioè, più o meno.

Il passare del tempo è una stronzata, se quel tempo riguarda te. C’è chi mi ha detto che a vent’anni si guarisce dall’insicurezza, a trenta dal timore di aver sbagliato a. Crescere è un cammino verso la stazione del Mandare Affanculo Le Cose Che Non Vuoi, che non ti piacciono, che t’hanno fatto male, e farlo senza paura, ridendo quasi, di te stessa anche e soprattutto, per come sei stata, come dire, tenera. O anche: innamorata, affezionata, amica. Mi faccio tenerezza, insomma. E mi faccio anche orgoglio.

Insomma, di questi trent’anni appena compiuti (che poi continuo a non sentire) posso dire una cosa: che la bambina con il collo del grembiule strappato da tale Luca (che oggi avrà trent’anni anche lui e probabilmente farà il muratore), la ragazzina che aveva difficoltà a capire come si facesse, esattamente, a fumare (altra abilità che mi precludeva il pieno inserimento sociale nel mondo d’emmenthal delle scuole superiori), la ventenne che quando si presentava in redazione le veniva detto, “sei schifosamente giovane” (perché, sappiatelo, è un dramma sapere cosa vuoi quando hai vent’anni), e forse persino la venticinque, la ventiseienne, la ventottenne e di sicuro la ventinovenne che sono stata, colta in diversi momenti e su diverse corde, sono diventate molto più forti e sorridenti di quanto immaginassi, e sono assai contenta di loro, molto più di quei posti, di quelle persone, di quei vestiti che ho dovuto scartare, perché nel giorno dei miei 30 anni, per loro no, non c’era più tempo.