Tagdonne

Se la depilazione avesse riguardato
gli uomini sarebbe passata alla storia
come tortura

C’è un periodo dell’anno in cui sulle copertine dei settimali femminili, stanchi di propinarci iperfighe in costume da bagno come hanno fatto fino a quel momento, compaiono iperfighe coperte da svariati strati di lana.  Quel periodo, di solito, è l’estate, ad esplicitare chiaramente il fatto che uno dei sentimenti su cui si basa l’universo femminile è l’invidia, e siccome d’estate il caldo fa dismettere antiche vergogne e ansie sul tuo corpo tanto diverso da quello della stanga su tacco 12 – con 32 gradi non vi ci vedo a preoccuparvi più di tanto nel mostrare cosce o braccia –  allora bisogna trovare qualcos’altro da  far desiderare ardentemente alle donne italiane mollemente adagiate in un bagno di sudore e con la trippetta sblusata sul pantaloncino a vita bassa: il freddo. Anzi: la stanga, che non solo è stanga, ma che per mettervelo definitivamente a quel servizio, mentre voi gettate il sangue con i cereali, e la dieta dukan (che, detto tra noi, vi rende un animale) e le verdurine tagliate alla julienne, se ne sta in qualche luogo del nord europa dalla temperatura accettabilissima, racchiusa in un cappotto beige dal taglio da uomo e,  probabilmente, può anche permettersi di prendere un paio di chili, che tanto, con quel cappotto, chi vuoi se ne accorga? Sta stronza.

Virna Lisi Esquire

Noi donne si invidia i manichini, e su questo assioma invertito si basano le vetrine di tutti i negozi del mondo: nessuno, di questi tempi, compra vestiti appesi alle grucce; compriamo tutte, invece, vestitini indossati da repliche di corpi in plastica. Sia la stanga che i manichini, tra l’altro, hanno risolto uno dei più grandi dilemmi dell’occidente, quel processo che se avesse riguardato gli uomini sarebbe passato alla storia come tortura: la depilazione in senso assoluto. Adesso, non è che voglio dirvi che è bello andare girando come un australopiteco. Però, per completezza d’informazione, e anche per sincerità, schiettezza, o per evitare di prendere per culo donne e relativi fidanzati che le pensano nate così, glabre e con la pelle di neonato di mesi 7 (anzi, un neonato di mesi 7 della pubblicità, che i neonati di solito sono tutti arrossati e frignano che è una bellezza)  bisognerebbe evitare di far passare cerette a caldo, strisce a freddo, e quelle macchine infernali che sono gli epilatori elettrici come benefattori. Perché uno, a guardare la tv, o a sfogliare uno di questi settimanali con le stanghe, penserebbe che beh, che ci vuole ad avere gambe lisce. Ci vogliono urla disumane, ecco cosa ci vuole.

Primo assioma del corpo femminile:

Quasi tutti gli esseri umani sono provvisti di peli.
Alcuni di questi esseri umani provvisti di peli sono costretti da convenzioni sociali/estetiche ad estirparseli alla radice con cadenza mensile (se va tutto bene).
Da cui,

a) Le donne sono esseri umani provvisti di peli e costrette alla dolorosa estirpazione, quindi è a loro che sono rivolte pubblicità, prodotti, un intero mercato di diserbanti che tace, per partito preso, il perché di questa sofferenza;

b) Le donne sono naturalmente sprovviste di peli, in quanto non sono esseri umani, e a supporto di questa tesi abbiamo testimonianze filmiche, copertine dei settimanali, pubblicità, un paio di dichiarazioni storiche tra chiesa e maschi, e quant’altro (ad, esempio, secondo voi, Madonna, ha i peli sulle gambe? E, tornando indietro nel tempo, ce la vedete voi Gina Lollobrigida alias La Bersagliera che nello sperduto borgo di Sagliena, va alla ricerca di una ceretta a caldo?)

Falsi miti sulla depilazione femminile:

1) Nessuna donna chiama le amiche per dedicarsi tutte assieme alla pratica: non è bello farsi sentire mentre si smadonna l’universo digrignano i denti e abbaiando a chiunque si permetta di chiedervi, urlando da dietro la porta del bagno, se va tutto bene;

2) Nessuna donna si depilerà mai indossando scarpe con il tacco o calzini. A meno che non voglia una cavigliera di peli, intendo dire;

3) L’epilatore, questo dolcissimo oggetto che dovrebbe risolvere l’annoso problema della discendenza dalle scimmie, è essenzialmente un macchinario su cui sono montate pinzette che arpionano i vostri peli, li tirano, li torcono, li strattonano, uno dietro l’altro, a ripetizione, senza mai fermarsi, producendo un rumore elettronico tipo motosega, zzzzzz zzzzzzzz zzzzzzz;

4) Per sostenere la mia tesi, vi faccio notare che gli epilatori elettrici di nuova generazione funzionano anche in acqua. Ricordate qualche altra dolorosa pratica che viene consigliato svolgere in acqua?

5) Le estetiste possono essere sadiche. Ne conosco un paio che prima di farti le gambe, ti facevano l’inguine. Solo una donna può capire cosa intendo. Se sei una donna e capisci cosa intendo, commenta questo post e racconta la tua esperienza.  Perché ciò non accada mai più;

6) Nel corso della mia vita solo una volta ho permesso ad un’estetista di avvicinarsi alle mie gambe: siccome mentre mi faceva la ceretta la minacciavo di morte, me l’ero scelta in famiglia, era mia cugina;

7) Dopo la ceretta, l’epilatore, la striscia o quello che è, le gambe di una donna, di qualsiasi donna a meno che non abbia il cuio a posto dell’epitelio, si ricoprono di bollicine, puntini rossi, vene in esposizione, cosicché non puoi pensare di fare la ceretta e andartene a mare dopo mezz’ora, no, non importa che la ceretta sia al titanio o all’aloe o al miele, se Luisella non ti ha fatto male a parte quando ha tirato sull’inguine;

8) Ovviamente ci sono anche donne che negheranno tutto ciò. Quelle donne assomigliano molto a Rocky Balboa al minuto 1:27 di questa scena.

9) Chiara, dal selezionatissimo gruppo d’ascolto che è facebook, mi fa notare, tra l’altro che tutto ciò comporta un dispendio economico mica da poco. Una ceretta sta sui trenta euro, un epilatore costarà sui cinquanta; creme e cremine vi portano via una 20 di euro, e tutto ciò con la paura di finire in mano alla saponificatrice di Correggio.

Ciò detto, voglio rassicurare i signori uomini: esistono molti altri metodi meno dolorosi per le vostre fidanzate, amiche, amanti. Probabilmente direte che la cosa non vi interessa. Dovrebbe, invece. Le vostre fidanzate amiche amanti, quando smadonnano, smadonnano per voi (e anche contro di voi, personalmente io dicevo cose inenarrabili all’indirizzo dell’uomo che avrebbe poi beneficiato del contatto con la mia pelle liscia e bianca e sottoposta al martirio). Ergo, mettiamo a frutto questo dolore, signori. Vi prego personalmente: non lasciate che i minuti più intensi della vita delle vostre fidanzate amiche amanti siano quelli passati sul lettino dell’estetista.

Sipario.

Gli uomini guardano i Mondiali come le donne guardano alla loro relazione

Una volta, a margine di una conversazione su quanto gli stavo simpatica – tantissimo, visto come andarono poi le cose -, un uomo mi chiese se mi piacesse il calcio o meno. Anzi, non me lo chiese: lui dava per assunto che la risposta fosse no e che potesse passare a spiegarmi e farmi scoprire lui per primo cose meravigliose come il fuorigioco.

Il discorso suonava più o meno così:

“Sei simpatica”
“Grazie”
“Scommetto che non ti piace il calcio”
“Seguivo le partite dell’Ebolitana nel passaggio da Eccellenza a serie D, piacere”

Fate voi il resto.

La verità è che ho dei ricordi piuttosto limpidi di partite, partitoni e campionati nazionali, ma di quelle celebrazioni calcistiche che sono i Mondiali o gli Europei non mi ricordo mai le singole giocate – sono troppe – ma le giocate mischiate alle cose che facevo nel mentre.

Per cui, nell’ordine, ricordo:

a) Me che mi innamoro di Gianfranco Zola. Era il 5 luglio 1994, avevo 11 anni, e Gianfri (eravamo in confidenza) coronava il suo sogno: esordio ai Mondiali di Calcio nel giorno del suo ventottesimo compleanno. Un arbitro, tale Brizio, nazionalità messicana, lo espelle per motivi ancora non comprensibili all’uomo e su cui esistono ancora serissimi dibattiti (sta prima il Terzo Segreto di Fatima, poi l’Allunaggio, e infine l’espulsione di Zola). Gianfranco, comunque, fa una cosa che lo rende il mio amore perduto di sempre: Gianfranco molla tutto e piange e si sbatte per terra e se la prende con oggetti inanimati e cerca di parlare a chiunque finche non vanno a riprenderselo dalla panchina. Qui nozioni aggiuntive sul come si piange e ci si sbatte e via dicendo, qui il video:

b) Mio padre che non so quale fissazione prende ma comincia a registrare tutte le partite degli Europei 1996. Fu capace di produrre una marea di vhs su cui poi, per anni, abbiamo registrato tutt’altro, per cui, a casa mia, se volevi vedere “Misery non deve morire” dovevi scegliere Spagna-Bulgaria, “Codice d’onore”,  Germania-Rep.Ceca, e così via;

c) Me che preparo una grossa caraffa di Karkadé freddo in un appartamento del Rione Alto nel giorno di Italia-Corea. Era l’anno del signore 2002 e ogni tanto alzavo gli occhi da un testo di Pedagogia dell’arte e percorrevo un corridoio lunghissimo a piedi scalzi, per sbirciare la partita in un salotto dove stavano bellamente stipati, un pianoforte, svariate stautette dei pastori del ‘700, due poltrone e un divano verde acido dalla stoffa molto pungente, un tavolo lunghissimo, il mio ragazzo dell’epoca, la sorella del mio ragazzo dell’epoca, le amiche del mio ragazzo dell’epoca, gli amici del mio ragazzo dell’epoca, l’altra coinquilina, la mamma dell’altra coinquilina, il mio padrone di casa, le figlie del mio padrone di casa, le amiche delle figlie del mio padrone di casa. Lowenfeld spiegava, essenzialmente, se era il caso di preoccuparsi quando un bambino, nel ritrarvi, vi disegna sei dita per mano e la capa di bomba; l’arbitro Moreno ci eliminava dalla competizione vedendo cose che non esistevano ben prima di essere arrestato per traffico di stupefacenti. Io confermavo la mia fama di asociale che che ci tiene a prendere almeno 28 in Pedagogia dell’arte, però prepara bevande e chiede a tutti se ne vogliono un po’, perché è una persona gentile;

d) Me che reincontro il mio ex ragazzo dell’epoca (sì, è lo stesso di cui sopra) il giorno della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006. Quel giorno ho imparato che vedere uno che vi ha spezzato il cuore mentre esulta a tempo di po-po-po-po-po-pò su un auto che percorre il viale centrale della città può farvi venire voglia di cambiare non solo nazionalità e squadra ma anche indole, solo per avere una scusa buona per sfracassargli il setto nasale* a colpi di bottiglie di birra Peroni (questo in conformità con l’orgoglio nazionale)

(*mi sentivo molto Morrissey quando canta “And the pain was enough to make a shy, bald, buddhist reflect and plan a mass murder“, sì);

Conclusioni a margine ricavate da anni di esercizio di osservazione sul campo

1) Diffidate dell’uomo cui non piace il calcio o meglio, è molto più semplice se a lui piace il calcio, ma va bene anche un altro sport tipo il tennis, di seguito il perché;

2)Anche l’uomo più pacato e/o timido si produrrà in una serie di osservazioni decise e tecniche durante la competizione. In molti casi, la cosa è assai divertente. A fini conoscitivi, però, può anche dirvi come si relaziona con le critiche, le avversità e anche quanto e se pensa di essere gesucristo sceso in terra che, se ci fosse in campo lui, oh: saprebbe benissimo cosa fare! (il punto è che in campo lui non c’è);

3) Il tono è molto indicativo. Per esempio: ho sentito bestemmiare San Gaetano e il 7 di agosto da una persona la cui capacità di imprimere volontà su qualsiasi affermazione era pressocché nulla. Ciò ha migliorato di molto la considerazione che avevo di lui: di base, mi sono voltata e gli ho detto: “Allora sei umano!”;

4) Durante la finale Francia-Italia, Europei del 2000, accadde qualcosa, non ricordo cosa di preciso ma probabilmente il fatto che perdemmo 2 a 1, che mi lasciò intendere che molti uomini tengono al calcio come le donne tengono alla loro relazione, da cui:

5) Gli uomini che guardano le partite di calcio sono donne che guardano alla loro relazione.

Esempi pratici

Provate voi a dire ad un uomo che la sua squadra del cuore si è venduta il migliore attaccante, su, ve la faccio facile, provate a dire Pocho o Cavani a un tifoso del Napoli. Equivale, ancora oggi, a fare il nome di un ex grande amore. C’è chi la prende con filosofia, chi parte con una pippa sull’ineluttabile capitalismo del mondo calcistico, chi se la cava con una bestemmia. Ma lo sapete: ad avere Pocho o Cavani davanti, esploderebbero in lacrime sommesse tali da meritarsi il premio “Faccia che ricorda il crollo di una diga” di DeGregoriana memoria.

Provate voi a dire ad un uomo che la sua squadra del cuore si vende o si compra le partite. Su, ve la faccio facile, pensate a un tifoso della Juventus. È come dire a una donna felicemente accasata delle ripetutissime corna del marito (di cui probabilmente aveva già sentito parlare, ma fintanto che torna a casa, come dire).

In ogni caso, uomini e donne, conservano una parte pura di sé stessi che si esplicita in maniere differenti, ma ha la stessa radice: una fiducia quasi bambina nel come potrebbero andare le cose. Solo che gli uomini, per comodità, devono aver preferito relegarla nei 90minuti di competizione calcistica (che è più o meno il tempo giusto che dovrebbe durare un appuntamento).  Rompere questo incanto significa spezzargli il cuore (il cuore si spezza sempre, magari una volta ne viene meno un pezzo più grosso, un’altra più piccolo, ma la frantumazione è una costante). Per avere un’idea degli effetti di questo inconveniente, vi lascio questo video esplicativo: lo so, è Shakira che canta il Waka-waka. Ma provate ad immaginare cosa potrebbe succedere a dirle che Piqué le preferisce Bar Rafaeli o che c’è una foto piuttosto dibattuta con Ibrahimovic. Roba che sarebbe ben capace di rivoltarvi contro l’intero corpo di ballo a suon di Django eh eh, Django eh eh.