AutoreRaffaella R. Ferrè

Raffaella R. Ferrè, giornalista e scrittrice, è nata ad Eboli nel 1983.

Mai Dai

Mi sono accorta d’esser diventata grande il giorno in cui ho smesso di desiderare il concerto del Primo Maggio. Non che l’abbia mai desiderato fortemente, eh, ma nel posto dove sono nata cresciuta pasciuta c’è sempre stato questo alone mistico intorno a chi, nel fatidico giorno, saliva su un treno per Roma. Il motivo credo abbia poco a che fare con la manifestazione di piazza San Giovanni e sia più strettamente legato al fatto che chiunque decida di partire dalla stazione del mio paese è un santo.

Quelli che tornavano, poi. La faccia distrutta da viveur e il discretissimo odore di fumo  sprigionato a mo’ di nuvoletta a ogni pié sospinto: ciò giustificava anche l’alone. Raccontavano storie varie di postegge e baci e accoppiamenti e slinguazzate perché dal primo maggio nascevano gli amori dell’estate, gli equivoci che tenevano banco per gli inciuci fino a settembre, cose del tipo “Luigi ha baciato Luisa pensando fosse Marta che è la sorella della sua ex Maria e se lo sa Giampiero li uccide”.

Gli amici di certi amici, poi, l’alone ce l’avevano da sempre. Stazionavano davanti a quello che all’epoca era l’unico bar con atmosfere semiquasirock del paese, non stavano seduti ai tavolini come si usa di solito, no. Non stavano nemmeno seduti al bancone, come pure mi pare si faccia normalmente. Loro stavano a terra, sui gradoni del locale, mollemente adagiati in gruppi di ottantacinque sull’unica provata panchina del posto, avevano una confidenza di luoghi e spazi, la strada era casa loro e in quest’ottica doveva sembrargli logico ostruire, di fatto, il passaggio a qualunque essere vivente. Nell’ultima settimana di aprile il traffico si faceva più intenso: il gruppetto si rimpolpava di visi e facce e bottiglie di birra tintinnanti e sigarette e canne.

Io avevo 15 anni, un jolly invicta, le felpe, le scarpette da ginnastica e il principio di curiosità classico per la varia umanità che si accalcava in poco più di 100 metri: c’erano i trentenni con la passione per il cinema francese e la fotografia b/n, l’attaccatura dei capelli che cominciava a farsi più rada; c’erano le ventenni fighissime tirate a lucido in pantaloni di pelle, il loro amore per la housemusic, Angels of Love. C’erano le adolescenti che come me, prima di me, avevano avuto faccia di cazzo abbastanza per andare a vedere questo mondo altro che si apriva fuori Porta Santa Caterina e prendeva l’autostrada.  Il mio ingresso nella società che include a fasi alterne non fu niente di che: l’età non mi permetteva che uscite pomeridiane durante le quali uno dei trentenni di cui sopra cercò di convincermi che:

  1. i cani mangiano la cioccolata;
  2. Werther non si era mai suicidato;
  3. Innuendo dei Queen non era poi gran cosa.

Capirete il mio odio.

Alla luce del palco montato nel centro di Roma, ho visto spuntare carte da 100mila per fare i biglietti del treno e balconcini di case fuorisede da cui forse possiamo vedere/sentire e genitori compiacenti che ci accompagnano con la Station Wagon e Marta e pure Cristina belle pronte a fare carte e pezzi di fumo grandi quanto tavolette di ritter sport da mettere nei caziettielli e nelle mutande così non ce li trova nessuno. Una delle adolescenti si accodò ad uno dei trentenni in partenza: un pastore tedesco amico del commissario Rex gli zompò addosso alla stazione di Napoli per tutta la roba che tenevano addosso. Suo padre si disse stupefatto. Mai quanto lei e il trentenne, suppongo.

L’anno dopo non so quale associazione decise che tutti noi gggiovani della cittadina avevamo diritto al concerto del Primo Maggio. Indi per cui nella piazza principale del paese fu sistemato un mega super schermo puntato su raitre. Il danno fu che per giorni, settimane, ogni qual volta ci si incontrava, alla domanda “Cos’hai fatto ultimamente?” bisognava rispondeva con aria vissuta: “Sai, sono stato a vedere il concertone” quando, invece, la frase corretta sarebbe stata “Sono stato a vedere il concertone in piazza della Repubblica”.

Così, forse per la mia incapacità di tollerare stronzate troppo a lungo, ho iniziato a dire, con un certo orgoglio, che no, non solo io non c’ero mai stata, ma non desideravo nemmeno andarci. Lo dichiaravo con aria annoiata, pronta a infervorarmi al momento giusto, e sentendomi, per la prima volta, ufficialmente, un outsider.  Le mie motivazioni non avevano il successo sperato: spiegare quanto mi dava ai nervi l’associazione di bandiere rosse + bandiere della pace + rock + dreadlocks + torso nudo + ragazze sulle spalle + postegge + speranze di accoppiamento + ombelico di fuori + folla oceanica uso mandria di bufali + più canne + più bottigliette di acqua e panini + presentatori + viaggio in treno dalla stazione del mio paese + ritorno + soldi che non ci stanno, non convinceva nessuno, e certe volte stancava anche me perchè erano cose che prese singolarmente, una per una, magari mi stavano anche bene.  Dopotutto ero sempre una quindicenne bionda che non sapeva dire bene che nel concerto del Primo Maggio, o forse nelle persone che vedeva parteciparvi, non riusciva a trovare che poche, pochissime corrispondenze con il tema del lavoro, della democrazia, delle prospettive di progresso sociale.

Il concertone, purtroppo, per come me lo raccontavano mi pareva una gita di quelle che si fanno per il ponte, oppure a scuola nello stesso periodo. E di queste uscite in pullman con tutta la classe, sarà una pecca ma io non ricordo il programma di viaggio di studio ma gli scherzi, l’ilarità, lo spacciare vodka al cocco per acqua e darlo da bere alla prima malcapitata, l’aspettare tale ragazzo all’uscita di tale albergo, fumando tale sigaretta con tale musica di sottofondo, come hai detto che si chiamava quella canzone?

Oggi il gruppo si è sfilacciato: alla birra e al fumo collettivi si sono aggiunte inclinazioni individualistiche come la bellezza della scrittura e l’utilizzo macchine fotografiche non digitali. Susan Sontag ci vedrebbe un bel po’ di implicazioni psicoanalitiche, io penso semplicemente che quando vivi nel sud del sud devi trovarti un minimo di occupazione se non vuoi fare la fine di Jack Torrance in Shining, quindi ben venga. Certo, il casino che sta sotto casa mia, non vi dico . In questo contesto, suppongo che il concertone del Primo Maggio rappresenti ancora una buona occupazione.

Raffa is burning

Essere una semiprecaria – quasidisoccupata oggi ha i suoi lati positivi: la febbre, ad esempio. Nel senso che io, da lavoratrice atipica, ero abituata ad andare a lavoro pure con la broncopolmonite e a recuperare ogni eventuale ora dedicata alla mia salute (fisica e mentale). Questa volta, fortunatamente, no. Sto buttata sul letto a quattro di bastoni. Probabilmente il virus si è reso conto di avere via libera e si è manifestato in tutta la sua potenza: febbre a 38 e mezzo, gola in fiamme, tonsille gonfie, dolori alle articolazioni come se avessi preso parte a una rissa alla Fight Club. Ergo, sto buttata sul letto a quattro di bastoni perchè non possiedo più la capacità di stare in posizione eretta. In questa fase di regressione ho imparato varie cose tra cui: 1)lo yogurt Mio a banana è buonissimo; 2)la canzone “Ti amo non ti amo” di Raffaella è bellissima; 3) il Velamox sa di menta; 4) mai e dico mai mettere i sandaletti aperti senza calze quando si muore di freddo che tanto pure Carrie Bradshaw lo faceva.

(in aggiornamento)

Ps: ho finito la correzzione delle bozze. Ma questa è un’altra storia.

Rassegnati Stampa

Girovago per il centro direzionale e per appararmi la giornata gioco alla turista in Nuova York ma c’è il cartellino della circumvesuviana, piove, non tengo l’ombrello, l’emmepitrè si rifiuta di collaborare, il c61 mi ha lasciato davanti al Palazzo di Giustizia, le ballerine nere mi stanno strette come una trappola cinese e soprattutto, soprattutto, devo starmi accorta a dove metto i piedi perchè le mattonelle del centro direzionale hanno vita a sè. Piove per mezza giornata e quelle s’affossano, come inghiottite dal fiume Sebeto. Tu vai per metterci sopra il piede e ti fai il bagno e la doccia e pure lo shampoo. Ergo: cammino come la signorina minù . Entrare nel palazzone non è di conforto perchè allora devo chiamare l’ascensore. E io non riesco mai a prendere l’ascensore in maniera consona e tranquilla perchè ogni qual volta entro in un qualsiasi palazzone e chiamo la cabina, mi viene in mente Vestito per Uccidere e inizio a voltarmi e girarmi in maniera ossessiva.

 

Tutto questo per dirvi che:

a) no, non c’era nessuno con la parrucca bionda nell’ascensore

b) anche per questo va leggermente meglio e ne darò conferma tra qualche tempo

c) ho schivato abilmente il call center

d) é uscito il nuovo numero di Best Before, giornalino (e io toglierei il diminutivo) fatto da precari per i precari. Le lavoratrici atipiche in questione sono due forze della natura, Benedetta e Silvia, con cui ho già sodalizzato appieno, costituendo un’inedito asse milano-bologna-napoli, che in questi giorni mi ha sollevato dalla melma della nullafacenza.

e) sul suddetto giornale, oltre a storie stra-ordinarie c’è anche un pezzo di Santa Precaria, che fra poco metterò on line. Frattanto chi vuole riceverne una copia, toccare con mano questa realtà non edulcorata e tragicomica, capire il punto di vista di chi ha un contratto che termina prima della scadenza dello yogurt, può abbracciare la causa mandandomi una semplice mail.

f) Eleonora de “La Repubblica degli Stagisti” mi ha fatto una piccola intervista. Al racconto delle mie peripezie mi pareva di vederla strabuzzare gli occhi, pure se stavamo a telefono. La ringrazio ancora per avermi chiesto due o tre volte come mai, con l’esperienza che bene o male ho, mi capita di lavorare a gratis. E’ stata una bella sveglia per la mia autostima professionale.

h) dulcis in fundo: questo blog è stato inserito nella lista dei siti utili in un nuovo portale che si pone l’obiettivo ambizioso di dare una mano a giovani e meno giovani nell’orientamento nel mondo del lavoro (più che mondo io direi giungla ferox) attraverso varie sezioni e rubriche (dai contratti di lavoro agli stipendi medi a tutto ciò che non bisogna scrivere in un curriculum). Grazie, dunque, a Davide Licordari dello staff di www.cv-lavoro.org . A lui e a tutti i ragazzi impegnati in questo progetto vanno i miei auguri e i miei pensieri (specialmente se penso a domani).